martedì 10 gennaio 2012

Il bacio


In rete si accendono piccole discussioni e, d'improvviso, mi trovo a prendere posizioni che fino a qualche tempo fa non avrei immaginato, così il pensiero si dipana e cerco di capire il perché di questo cambiamento ed il suo significato. Si parla di arte, si cita una canzone famosa di un tipo altrettanto famoso perché qualche mese dopo quel grande successo ha ucciso la propria compagna a calci e pugni. E scopro in me un rifiuto, che quella canzone era bella ma io non ho più voglia di ascoltarla, non mi interessa quanto sia triste e struggente, io non mi ci associo. Mi si ribatte che l'arte è arte indipendentemente dall'artista, una cosa con cui fino a qualche tempo fa mi sarei trovato d'accordo, e invece no, non è così, l'arte di un sadico che massacra di botte la compagna non è come l'arte di chi non lo farebbe mai ed ogni giorno affronta la vita con un sorriso aperto, scopro all'improvviso che non riesco più a separare i due ambiti e penso al racconto che mi fece anni fa una amica brasiliana. In Brasile, mi diceva, se qualcuno ti infila la lingua in bocca è da intendersi come un saluto, è sconveniente tirarsi indietro e, comunque, un bacio è sempre piacevole. Allora mi sembrò strano ma interessante, probabilmente perso in qualche fantasia su Giselle Bundchen, oggi mi chiedo invece se la premessa sia vera: un bacio, a parità di alito e tecnica, è sempre piacevole indipendentemente che a dartelo sia una donna bella e intelligente o una nazista che brucerebbe gli immigrati? E se la risposta è sì, allora il passo successivo è andare oltre il genere e dire che un bacio è un bacio che a dartelo sia la Mezzogiorno o Fabrizio Frizzi, che tanto è tutto uguale, le labbra son labbra e chissenefrega del resto. Orrore. Io non penso affatto che sia così, credo che questa specie di sineddoche per cui si prende la parte per il tutto sia indifferenza e dissociazione, non riesco a separare le labbra che baciano dalla persona che c'è appena dietro, come non riesco più a separare la canzone dalla storia del cantante omicida o le architetture di Albert Speer dal contesto in cui sono nate e dall'ideologia che esprimevano. Anche Hitler faceva acquerelli, non so come siano, non mi interessa vederli. L'arte a volte è un bacio avvelenato.

6 commenti:

  1. Anche a me succede di prendere posizioni che un anno fa non avrei immaginato e così mi trovo ad aver avuto una illuminazione proprio mentre leggevo lo scambio da cui sono nati questi pensieri. Condivido il fatto che non c'é automatismo follia=arte, eccesso=arte e dissolutezza e eccesso=arte. Bukowski scriveva bene perché era Bukowski non perché si disfaceva di alcool e puttane. Comunque, pensando ai pensieri malati e all'arte correlata mi è piaciuta la lucidità di Nikita che puntualizza che gli acquerelli di Hitler uno li scarta non perché era un nazista, ma perché facevano onco, che non basta spennellare per essere un pittore. Spesso mi sono interrogata su arte e pensiero malato, arte e messaggio. Una persona con il pensiero malato, è da escludere come artista? Il cantante che uccide una donna ha ed ha realizzato un pensiero malato, ma la sua canzone è bella o brutta? Anche il pittore che si uccide, ha un pensiero malato, ma i suoi quadri sono belli o brutti? Molti artisti hanno fatto cose mirabili poi un giorno hanno realizzato cose dettate da un pensiero malato: facendone piazza pulita resterebbe ben poco. Via tutto Van Gogh, per dire. E quelli che non si son curati a modo e si son presi la sifilide o si son sfatti di eroina? Via un sacco di pittori e musicisti. E quelli che si sarebbero potuti curare e non l'hanno fatto, realizzavano un inconscio istinto di morte? Allora giù. Via anche il signore di qualche post fa, nel dubbio.
    Io per un sacco di tempo ho guardato ai suicidi come a delle mine vaganti, persone che esplodono e lasciano macerie. Guardando l'opera di Rothko mi immaginavo il gesto finale di quell'uomo e mi allontanavo dall'opera d'arte, vedendo solo il gesto e mi immaginavo la sua testa come un orologio con una rotellina che attivava l'esplosivo. Capisco, adesso, che non è così. Leggendo lo scambio e il tuo netto rifiuto e il nome di Hitler e poi la frase finale del tuo post mi viene in mente un'altra figura su cui spesso mi sono interrogata riguardo all'arte avvelenata. Leni Riefenstahl. La sua arte, che veicolava o si nutriva di nazismo, era o no avvelenata? Il suo pensiero nasceva in una certa culla ideologica e la sua arte esaltava quel pensiero malato, era consapevole di seminare quel pensiero? Era la sua arte ma si rendeva conto che lavorava perché lei era complice di un regime criminale? Che lei fosse d'accordo con l'ideologia di Hitler o solo complice per interesse, me la fa disprezzare come persona e non mi sembra più una grande "artista". Sì, brava, ma la sua dimensione interiore si ridimensiona parecchio, ai miei occhi e perde quella libertà, quella vastità che secondo me denota un'artista.
    Una persona che compie un gesto violento non è detto che abbia condotto per forza una vita violenta e che attraverso la sua arte abbia diffuso qualcosa di quel pensiero ammalato. Che per lungo tempo magari è stato sano. Soprattutto perché a volte il pensiero si ammala in tenera età, ma realizza un istinto di morte “improvvisamente” e fin quando non lo fa nessuno immaginerebbe mai un epilogo simile.
    Se fosse scontato allora il pensiero sarebbe incurabile. Non lo penso. Quindi un conto è lo sterminio sistematico di Hitler e chi si fa complice di un'ideologia (ma non si può neanche più parlare di arte, direi), un altro è l'agire del pazzo che esplode (e l'arte prodotta precedentemente alla sua “malattia” deve esser “giudicata” per quella che è). L'arte, insomma, direi, non è mai avvelenata.

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  2. Ho letto il commento nel pomeriggio, guidando, e da allora ci ripenso, cercando il punto di collisione senza riuscire a trovarlo. Leni Riefenstahl è scesa a compromessi col regime nazista in quanto artista in Germania durante quel periodo storico. La scelta, allora, era semplice: collaborare e realizzare le proprie opere o non collaborare ed avere negata quella possibilità. Negata, perché un film non è un quadro che uno dipinge anche in uno scantinato o tracciando segni col carbone su un muro, un film richiede permessi, mezzi, attori, tecnici, teatri di posa e un sacco di soldi. Questo fa della Riefenstahl una persona di pochi scrupoli, forse talmente presa dalla sua arte da non vedere la realtà che la circondava, ma non una nazista e, sicuramente, non una omicida anche se altri, come Fritz Lang, nelle medesime condizioni hanno dimostrato una caratura morale maggiore. Oggi, a sessant'anni di distanza, è facile vedere cos'era il nazismo e dove avrebbe portato, ma sinceramente io non sono sicuro che chi ha vissuto quel periodo sulla propria pelle riuscisse ad avere questa stessa visione. Con questo non dico che "Il trionfo della volontà" sia arte, era propaganda al servizio del nazismo, ma "Olympia" a me pare un'opera che ha un valore artistico innegabile. E l'architettura razionalista, tipica delle città di fondazione durante il ventennio, ha un valore indipendentemente da quello che poi il fascismo ha prodotto, quindi fin qui direi che siamo d'accordo. Su Albert Speer il discorso mi pare diverso, oltre ad essere stato un architetto è stato anche un gerarca nazista ed il ministro degli armamenti del terzo Reich, ha sfruttato la manodopera degli ebrei ridotti in schiavitù e si è assunto la completa responsabilità morale dello sterminio degli ebrei. Nel 1944 Lo scrittore Sebastian Haffner diceva: « Albert Speer non è il solito nazista appariscente e ottuso... è molto più del semplice uomo che raggiunge il potere, simboleggia invece un tipo d'uomo che sta assumendo sempre più importanza in tutti i Paesi belligeranti: il tecnico puro, l'abile organizzatore, il giovane brillante uomo senza bagaglio e senza altro scopo che seguire la propria strada, senza altri mezzi che le proprie capacità tecniche e manageriali. Degli Hitler e degli Himmler ce ne sbarazzeremo, ma con gli Speer dovremo fare i conti ancora a lungo... », quindi si tratta di un uomo politicamente e moralmente indifferente, concentrato esclusivamente su di sé e sulla possibilità di esprimere al massimo le proprie potenzialità. Infine il cantante di cui si parlava. Nella discussione originale si chiedeva se allora, partendo dalla mia considerazione, prima di apprezzare l'opera di un'artista uno non debba leggersi la biografia o, meglio, conoscerlo di persona, se non si tratti alla fine di pretendere un certificato di santità dall'artista. Non è così. Molte opere ho apprezzato e apprezzo senza sapere niente di chi le ha prodotte. Persino la canzone che dava spunto al post l'ho molto amata, anni fa. Ma nel momento in cui vengo a sapere che l'artista in questione ha massacrato a calci e pugni la sua compagna, il mio sguardo cambia, non posso far finta di non saperlo e la gravità di un atto del genere è tale da prescindere qualsiasi merito artistico, per me. Di fronte a questo, faccio muro, la bellezza dell'architettura di Speer me la sbatto, della poetica della canzone di Cantat me ne infischio perché lo sdegno che mi procurano gli autori prevale sul mio senso estetico, lo rende inutile perché di fronte all'orrore il metro del bello/brutto perde di senso. Una ghigliottina splendidamente realizzata resta una ghigliottina e mi procura orrore anche se la disegna Philippe Stark, per dire, un mitra resta un mitra, il suo modello d'uso è tale che trascende il valore estetico. Non lo so se si capisce.

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  3. Dici: "Riefenstahl una persona di pochi scrupoli, forse talmente presa dalla sua arte da non vedere la realtà che la circondava, ma non una nazista e, sicuramente, non una omicida"

    Wikipedia scrive:

    Nel 1982 la regista tedesca Nina Gladitz girò il film Zeit des Schweigens und der Dunkelheit (Tempo del silenzio e della tenebra), un documentario dedicato alla realizzazione di Tiefland. Negli anni quaranta per le riprese del film (ambientato in Spagna, ma girato nei pressi di Salisburgo) la Riefenstahl ottenne come comparse alcuni bambini rom, per lo più di etnia sinti, detenuti nel vicino lager di Maxlan-Leopoldskron e di Marzahn, ai quali furono restituiti dopo le riprese per essere avviati ad Auschwitz e in altri campi di sterminio, dove quasi tutti trovarono la morte. Dopo la guerra la Riefenstahl dichiarò di aver creduto che Maxglan-Leopoldskron fosse un campo di accoglienza per i nomadi, di ignorare la sorte che li attendeva, che a quei bambini non accadde nulla e che anzi ella stessa li aveva incontrati dopo la guerra in buona salute.
    Nina Gladitz raccolse le testimonianze dei pochi sopravvissuti e documentò che la Riefenstahl era consapevole che Maxglan-Leopoldskron fosse un lager: i bambini le furono concessi tramite un contratto, nel quale figuravano le autorità delle SS adibite al controllo del campo. La Gladitz fu citata in giudizio dalla Riefenstahl per diffamazione: il processo, durato quattro anni, si concluse con la vittoria della Gladitz, che però fu a lungo ostracizzata dalla cinematografia tedesca.

    no, certo, lei non era una nazista.

    come faccio a spiegartelo? Per me l'opera di una così è da guardare scremando, perché questa aveva dentro un criminale freddo e lucido (presente la gerbera?) e il resto del mondo per questa qui poteva andare al gas, bastava fare i suoi filmini, i bambini erano oggetti. Questo per me è l'orrore.

    Uno che ha i problemi del cantante, è in un altro campo e se adesso non la puoi ascoltare più perché la associ a una brutta persona è un fattore etico e di repulsione per l'uomo assassino, ma la canzone, scremata di questa associazione, è la stessa identica opera d'arte, dove non c'è nessun messaggio contro le donne o incitazione alla violenza, scritta prima di quell'episodio quando nessuno poteva immaginare che il tizio avrebbe devastato tutto, nemmeno lui o avrebbe scritto pezzi deliranti tipo quelli che a volte si leggono in giro.

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  4. Sulla Riefenstahl non so cosa dirti, non so giudicare quanto sapesse, quanto fosse consapevole di quello che accadeva. Su di lei ho visto un paio di documentari, qualche intervista, letto la biografia e so che la verità non viene fuori da nulla di tutto questo, la Riefenstahl ha perso la causa per diffamazione contro la Gladitz ma ha vinto due cause contro la rivista Revue che aveva pubblicato la stessa notizia. Sto difendendo Leni RIefenstahl? No. Sto solo dicendo che è molto, molto difficile per me esprimere un giudizio su un sentire, su quanto un'altra persona capisse o sentisse della realtà che aveva intorno, su fatti che vanno contestualizzati. Roberto Rossellini ha diretto tre film di propaganda fascista, Lattuada uno, quanto sapevano di quello che il fascismo era e sarebbe diventato? Capivano di sponsorizzare un regime che avrebbe portato alla risiera di San Sabba e alle leggi razziali? Io non lo so.

    Nell'altro caso è diverso, il fatto è preciso: A massacra B a pugni e calci. Non c'è niente da capire, niente da contestualizzare, è un fatto. Un uomo che massacra a pugni una donna non ha niente da spiegare, non esiste parola per una cosa del genere, se o così non lo si può curare, definitivamente se senza dubbi, allora l'unica è un colpo alla nuca o un pozzo in cui rinchiuderlo e buttare via la chiave. Se A cantava e ha scritto una bella canzone, a me oggi quella bella canzone ripugna. Quindi sì, è un fattore etico, l'opera d'arte è, probabilmente, incolpevole. Eppure, anche se la logica mi porta a dirti che è così, io verso quell'opera provo, oltre alla repulsione, diffidenza.

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    1. Ma insomma: il link a questo post incriminato?
      va be', mo' me lo cerco!

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  5. Uh no, era una discussione su facebook se ricordo bene

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