domenica 21 novembre 2010

Attimi.


Ci sono volte in cui è importante cogliere l'attimo. Una frase mi inzuppa di nero, come una pioggia di dicembre sul vestito grigio, e si trascina dietro un post dello stesso colore, pesante e mutanghero come una chiazza di petrolio. Fortuna coglie l'attimo di una perfetta, inconsapevole risposta, ed il nero si dissolve. Non in un'arcobaleno di colori, che a me niente viene facile, in tutto questo vivere, ma almeno in una idea di movimento. Pesante, tettonico, faticoso, ostinato. Comunque movimento.

sabato 20 novembre 2010

Conosci i tuoi pesci.


Non c'è dubbio che al mondo esistano molti diversi generi di pericoli, e nessun dubbio sul fatto che, spesso, i pericoli più grandi vengano proprio dai nostri simili. Ecco che allora si preferisce disumanizzarli, quantomeno nel lessico, e parlare di squali, di iene, di lupi, in una semplificazione che non semplifica ma complica le cose perché gli squali non si mangiano fra loro, né si fanno la guerra, rispettosi più di noi della teoria dei giochi e di ogni matematica razionalità. Rifletto sulla vicenda di Paola Caruso, ex co.co.co. per sette anni al Corriere della Sera che, non vedendo rinnovato il proprio contratto, ha deciso di indire uno sciopero della fame, e di pubblicizzare il suo gesto su internet. La rete è così: se becchi la ola, per un paio di giorni non si parla di altro, e allora ecco un fiorire di articoli sul precariato, sulle dinamiche del lavoro oggi, sui sindacati, sulla crisi. Tutte cose vere, che necessiterebbero di riflessioni più lunghe del tempo necessario a leggere l'articolo (e a questo proposito io vorrei tanto tanto capire perché alcune riviste femminili prima dell'articolo ritengano doveroso avvisarmi del tempo medio di lettura: hanno paura che mi scoraggi? Ci sono davvero persone che se l'articolo servono più di tre minuti per leggerlo lasciano perdere? A me questa cosa terrorizza più dei lampi Gamma. No vabbé, uguale). Soprattutto, sono cose che avrebbero bisogno di azioni conseguenti a tali inattuate riflessioni, che nessuno fa e che nessuno sembra intenzionato a fare, e che invece vengono ridotte a chiacchiera, a palinsesto spendibile nel tritatutto mediatico, giù insieme alle inchieste di mafia alle sentenze che non sentenziano nulla e nessuno e a quelle che invece spiegano tutto e fanno nomi e cognomi anche se poi le persone dietro quei nomi restano impunite ed impunibili, tutto insieme con il calcio e le modelle in perizoma e i camorristi arrestati che sorridono in camera come fossero ospiti al grande fratello e per un'attimo ti chiedi chi abbia ragione, tu che li guardi o loro che sorridono, ed il mondo di merda in cui ci toccherà vivere e che lasceremo, ulteriormente peggiorato, a chi verrà dopo. Ma il tutto detto così, con la rapidità necessaria a non percepire l'orrore, allegramente e senza drammi prima di cena che tanto domani è un'altro giorno. E alla fine leggo un blog che mi piace e scopro che gli squali, in questa storia, non portano giacca e cravatta. E mi chiedo per quale motivo nessuno, in tanto clamore, trovi normale porsi il dubbio che, forse, una giornalista che trasforma gli squali in mammiferi, non ci mancherà.

martedì 16 novembre 2010

Nordest.



Sono almeno cinque anni che hanno il Wi-Fi libero. Che uno dice, ah ok, senza dare i documenti per l'accesso, bé sarebbe l'ora anche da noi. Sì, ma non solo libero. Libero, aperto, e ovunque. Ovunque? Sì, ovunque. Anche in Montagna? Sì. In treno? Anche. Al mare? Tutto il fottuto territorio nazionale coperto. Pare sia stato molto più conveniente che mantenere una infrastruttura cablata. Cavolo, dice, che servizio, chissà quanto costa. Zero. Come zero? Zero. Niente. Nada de nada. Tutto gratis a spese dello stato, banda larga wireless per tutti, e alé. Ma sono impazziti? No, è che si sono resi conto che l'accesso a internet è un vantaggio competitivo per il paese, e quindi era una questione di interesse nazionale. Minchia. Eh già, e visto che c'erano hanno portato tutto il sistema elettorale online, con carta di identità elettronica, e i cittadini votano dal computer in maniera sicura ed economica, un risparmio di miliardi di Euro. Però, che bello, e dov'è che succede, in California? No, in Estonia. Estonia, capito? No dico. Che io sono a Milano in un cazzo di albergo e mi tocca collegarmi col cellulare. Il prossimo che governa dovrebbe farci un pensierino, magari se ci diamo una mossa riusciamo a raggiungerli.

domenica 14 novembre 2010

Visioni.



- E tu, Mark Anthony, riesci a vedere tutto l'universo, dentro quella goccia?
- Non ho sentito la tua domanda. Il rumore della cascata è troppo forte.

sabato 13 novembre 2010

Avviso ai naviganti


Ultimamente un sacco di commenti anonimi. Ora, io capisco la volontà di non farsi riconoscere, vi prego soltanto, da ora in poi, di firmarvi almeno con una sigla, un numero, un simbolo, qualcosa. In modo da sapere, se in un post ci sono due commenti anonimi, se sono della stessa persona oppure se si tratta di anonimi diversi. Quindi, da oggi, i commenti degli anonimi che non mettono una firma qualunque, ripeto basta un numero, semplicemente saranno cancellati. Grazie per la comprensione.

Radio Italia


L'altra sera, seduto nel taxi che mi portava in giro a risolvere l'ennesima bega di una settimana infernale, mi è capitato di ascoltare alla radio una di quelle cose che si chiamano canzoni d'amore, ma alle quali andrebbe trovato un nome diverso, canzoni dell'angoscia forse, della nostalgia, non saprei. La cantante rimarcava quanto stesse male adesso, come fosse sola e come, invece, un tempo il suo perduto amore le dicesse cose dolcissime eccetera eccetera. Una brutta canzone scritta da parolieri svogliati e composta sul solito trito giro in chiave minore, giusto per dare l'idea della tristezza. Niente su cui soffermarsi. Eppure la cosa mi ha fatto riflettere sul tempo e sulla visione del mondo sottesa ad una cultura in cui l'amore è cantato, spesso e volentieri, come rimpianto o, peggio ancora, come speranza che ciò che è stato torni ad essere di nuovo. Mi ha riportato alla mente una discussione iniziata ad una cena qualche mese fa ed immediatamente abortita anche per una mia stupida ostilità preconcetta. E tuttavia il germe di quella discussione ha evidentemente continuato a lavorare, in questi mesi. Si parlava del tempo ed il mio interlocutore aveva affermato una cosa molto semplice. Il tempo è lineare. Che si potrebbe migliorare in "Il tempo dell'uomo è lineare", per evitare quelle diatribe cosmologiche con le quali avevo immediatamente azzoppato l'argomento. Si nasce, si vive, si muore, semplice. Anche percorrendo la stessa strada ogni giorno, la strada è sempre diversa, diversi sono gli incontri che facciamo, diversi soprattutto siamo noi, da un giorno all'altro, diversi i pensieri che ci animano, diverso l'umore che ci muove il passo in una specie di danza o ce lo fa trascinare stancamente. Non si percorre mai due volte lo stesso cammino e, se anche provassimo a camminare in cerchio, ci troveremmo a percorrere una spirale logaritmica. Eppure la nostra cultura ci propone uno sguardo perennemente girato all'indietro, alla nostra infanzia, ai momenti felici, a quello che è stato mentre si occupa pochissimo del futuro, di quello che sarà e che è infinitamente più importante. Una idea folle di un tempo circolare, in cui alla fine del cammino ci sia ad attenderci quello che avevamo lasciato. Ma il tempo non è circolare, e infatti posso ripescare nella memoria la bistecca dell'altra sera, ma se sono le due ed ho fame, il ricordo non me la fa passare. Molto meglio preoccuparsi di mettere in tavola qualcosa. Ecco, mi piacerebbe sentire una canzone così, alla radio, una che parli della trepidazione nell'attesa del futuro amore, che non rinneghi il passato, che non cada nella trappola di pensare che ciò che non è vero oggi non fosse vero ieri, ma anche senza alcun rimpianto, che parli della bellezza di ciò che è stato solo per chiedersi quanto sarà bello quello che verrà. Per una volta, sarebbe una sorpresa.