domenica 28 agosto 2011

Codex Seraphinianus


Tanti, tanti anni fa, quando ero ancora un bambino, una delle poche riviste a entrare in casa nostra era FMR, periodico di élite edito da Franco Maria Ricci, prezioso sia nel prezzo che nei contenuti, che ha avuto vita breve ed ha incarnato in qualche modo la ricchezza di quegli anni. Un numero fu dedicato interamente alla presentazione del Codex Seraphinianus, opera di Luigi Serafini che poi Franco Maria Ricci pubblicò integralmente. Il tempo mi aveva fatto dimenticare tutto meno i suoi disegni, oggi per una serie di coincidenze e rimbalzi sono riuscito a dare un nome ed un titolo a quei ricordi ed in un paio di clic, grazie a internet e a google, posso goderne di nuovo e per intero. E niente, non ci sono considerazioni particolari, solo la voglia di condividere qualcosa di bello.

mercoledì 24 agosto 2011

Matti

Qualche giorno fa sono finalmente riuscito a partecipare ad una delle passeggiate organizzate da Chille de la Balanza all'interno dell'ex manicomio di San Salvi, luogo tra i più belli e pieni di memoria di Firenze. Tra le molte suggestioni ed emozioni, due in particolare. Tre diverse lettere, scritte da due diversi internati in periodi storici assai distanti. Due di queste lettere narrano la metamorfosi di Giacomo Tarantini, quella normale e ragionevole scritta prima della "cura" a base di elettroshock e reclusione nel sesto reparto uomini, e quella scritta dopo, quando ormai gli avevano fatto entrare dentro a forza le acca, ed era diventato Giachomho Vhon Taranthinhi, come racconta Ladoratrice.

L'altra lettera, però, è quella che mi ha colpito di più, grazie alla succitata Ladoratrice e ai suoi riflessi ferini posso oggi riportarla per intero. 

Eccola:

"Alcuni di noi spesso si trovano in manicomio perché la società non ha nervi abbastanza saldi per sopportarci.

Perciò prima sarebbe necessario curare la società alla quale ci dovremmo nuovamente inserire.

Un lavoro non regolarmente rapportato alle capacità fisiche e intellettuali di un individuo, credo che influisce molto negativamente sulla sua salute.

Un lavoro mal retribuito credo lo avvilisce e lo umilia e le arreca sempre danno alla salute e all'equilibrio mentale.

Un ambiente dove un ex ricoverato viene guardato o trattato (a volte sfottuto) come un essere diverso, non è abbastanza adatto.

La libertà è soggetta a limiti di usi e di costumi, ma molto di più è soggetta alle capacità finanziarie."

Angelo.

In quello che scrive Angelo la pazzia non si vede, ma i manicomi erano, e potrebbero essere di nuovo, luoghi in cui seppellire chi non fa comodo, per questioni di eredità, di convenienza o per motivi politici. A Volterra esisteva addirittura un reparto anarchici, come se l'anarchia fosse di per sé segno certo di squilibrio mentale, e a chi pensa che oggi questo non potrebbe succedere più consiglio la lettura di questo articolo sull'uso politico del TSO a Genova durante il G8. Il manicomio era un luogo in cui si perdeva ogni diritto, si diveniva meno che umani, oggetti da archiviare, in attesa dell'unica liberazione possibile, la morte. Dal manicomio infatti non si usciva, mai, nemmeno con le parole e, infatti, la corrispondenza in entrata ed in uscita dal carcere era semplicemente soppressa. Occorre preservare la memoria di ciò che è stato, perché la memoria dell'orrore è l'unico modo per essere certi che quell'orrore non torni.

mercoledì 10 agosto 2011

Die kunst der fuge


Sono un sacco di giorni che non metto piede qui dentro, più di un mese. Ormai non aprivo questa pagina nemmeno per controllare i link, che comunque trovo quasi identici in altri luoghi. Mi chiedevo perché, poi ho capito. Si scrive di quello che si fa, si pensa, si desidera, si teme, si odia o si ama. Non si può scrivere senza essere. E io ultimamente non sono stato. Frastornato dalla realizzazione di Terre Rare, assorbito da altrove in cui la mia presenza è utile, ma non necessaria, votato alla risoluzione di logistiche, alla semplificazione dei problemi, alla eliminazione dell'impiccio, di me non resta neppure il più piccolo riflesso, nello specchio del desiderio. Scomparso, sparito. Facile fuga consueta, la mia, comodo arrocco, assistenzialismo pretesco e vile di chi aiuta a camminare quello con la gamba rotta mentre nasconde sotto il camice la sua deformità. Arriva l'estate e come ogni volta mi trovo assente, incapace di organizzare un viaggio, una vacanza, una gita. Odio il mese di agosto, odio dover decidere cosa fare di me in questi giorni in cui tutti da qualche parte sono, e fanno quello che desiderano. Mentre io, ancora una volta, non andrei da nessuna parte, dormirei soltanto, in attesa di poter di nuovo essere per. E da questo, ritagliarmi fughe. Com'è difficile uscirne. L'anno prossimo, ecco. L'anno prossimo a Predoi. Ma intanto anche a Genova, tra qualche giorno. Un passo alla volta, che le rivoluzioni così si fanno.