martedì 30 luglio 2013

Perché sì




Da un po' non mi affaccio, la primavera quest'anno si è persa, in compenso è arrivata una estate robusta con cui valgono pochi discorsi. Così nel caldo dipano i pensieri, di nuovo, qui.

Qualcuno una volta ha detto che ogni traduzione è un tradimento, una riscrittura, perché cambiando lingua e parole il senso non può che essere diverso dall'originale. Ma al momento che viene espresso, anche un pensiero viene tradotto da una immagine, un sentire, e quindi invariabilmente tradito. 

Alcuni pensieri hanno una valenza pratica: trovare un sentiero in mezzo al bosco, non raccogliere i funghi rossi a pallini bianchi, fare attenzione ai grossi rettili carnivori, roba così. Se l'immagine del mio rettile mentale non è esattamente quella che vien fuori quando urlo "Tirannosauro, laggiù!!", chi se ne importa, è una perdita accettabile se l'alternativa è essere mangiati.

Ecco perché tanta parte della letteratura è, soprattutto, manualistica, anche quando non sembra. Occorre fornire mappe del mondo, per aumentare le possibilità di sopravvivenza.

Però.

Però ci son pensieri che nelle parole, non ci stanno.
E anzi, non sono nemmeno pensieri, sono moti. Sono quella cosa che precede il pensiero, che ci fa muovere un passo o sorridere o sgranare gli occhi prima ancora che la mente possa pensare un semplice "lo voglio!".

I bambini sono bravissimi in questo, più piccoli sono meglio è, li vedi puntare come girasoli l'oggetto del desiderio, mollare in un secondo ciò che tenevano in mano e dirigersi lì, dritti, senza dubbi o tentennamenti.
Poi arriviamo noi, con la famiglia e la scuola, a chiedergli conto di quel desiderio. 

Perché proprio questo (che magari è caro o scomodo o difficile da trovare o semplicemente non piace al babbo o alla mamma) e non quello (che invece costa meno o ce l'hanno sotto casa o piace tanto a mammà)? 
Perché un cane e non un pesce?
Perché una ciclista e non una principessa?
Perché un indraulico e non un calciatore?
Perché? Non vedi che in fondo è uguale, anzi, che dico uguale, meglio, incommensurabilmente meglio? 
Perché?

Maledetti criminali, e che deve rispondere il bambino? 
Che non lo sa! 
E ci credo che non lo sa! Certe cose mica si esprimono a parole, scemi! 

Uno, quel desiderio, lo soddisfa oppure no, compra il coso piumoso o spiega che, davvero, un cervo pomellato in salotto non si può, ma non si dovrebbe mai chiedere a qualcuno di spiegare un desiderio, perché le parole non bastano e, siccome siamo abituati a misurare il mondo con le parole, si corre il rischio di pensare che ciò che le parole non possono esprimere, non abbia alcun valore. 

A quel punto, uno che non sa rispondere alla domanda "perché questo e non quello?" si può sentire stupido, così magari la prossima volta che avrà un desiderio sano, vero, penserà che sia una cosa da stupidi, da bambini appunto, e smetterà di ascoltarsi, condannandosi da solo all'infelicità. E se papino o mammina son criminali, e ce ne sono tanti che nemmeno sanno di esserlo, levato di mezzo quel desiderio lo rimpiazzeranno coi loro desideri, con le loro ambizioni.

Mi torna in mente una frase di Guareschi da dentro le mura  del lager di San Sabba, che era una risiera e ci piace chiamarla così ma lager e stermini non sono esclusiva di un popolo, e la frase intera io non sono bravo a ricordarmela tutta a memoria ma diceva più o meno che se un domani si fosse trovato a dover spiegare al figlio perché avesse scelto la coerenza a costo del carcere e forse della vita quando sarebbe bastato un gesto simbolico per essere lasciato libero, avrebbe potuto solo dire "perché sì", che ci son cose che si fanno solo "perché sì", e qualsiasi altra domanda è inutile.

E dipanando pensieri e memoria mi accorgo che tutte le cose che mi hanno fatto stare bene, tutte, son cominciate così, con un "perché sì" quando tutto, intorno, mi spiegava con grafici e carte che si trattava della scelta meno sensata.

Ma fregandomene del senso, della praticità, del tornaconto, ho trovato felicità, e costruito rapporti, e identità.

Penso ad una amica bellissima, che non si chiama Arianna, e al suo nastro sempre più forte e prezioso.

Penso ad un amico bellissimo, e a chi ha avuto la fortuna di avere in casa un genitore che non ha mai rinunciato ai suoi sogni, alla sua identità, senza mai chiedere quanto fosse caro il biglietto da pagare per vivere la vita che si è scelto, senza forse nemmeno accorgersi che ci fosse un biglietto. E tutto torna, anche la meraviglia di una cura inaspettata.

Così mi chiedo, se il nostro desiderio era avere una casa sull'albero e ci siamo imbarcati in un mutuo trentennale per sessanta metri quadri di cemento in periferia, è tanto strano, essere infelici?

I boschi però sono pieni di alberi, è un fatto.

Allora, forse, basta solo uccidere papino, mammina e tutti gli déi da cui attendiamo un permesso, e darcelo finalmente da soli.

Non è mai troppo tardi per costruirsi un infanzia felice.