domenica 30 gennaio 2011

Senza rimpianti


Guardo il telefono e non ci credo. "Ehilà, ciao Ange!", dice la voce. Nessuno mi chiama più Angelo, da quasi quindici anni. Basta il tono, uno scherzo familiare e d'improvviso eccomi a Passatoland, che non è un luogo in cui nessuno ha inventato la parola "vellutata", nobilitando così legioni di verdure e legumi, ma una dimensione parallela, in cui le cose sono esattamente come le ricordavi. Convenevoli: uno scambio ozioso cui rispondo glissando sui particolari, sospettoso. Poi la domanda: mi ricordo mica il giorno esatto in cui è morto mio padre? No, non l'atmosfera (una bella giornata di sole), né cosa stavo facendo (leggevo un fumetto in camera mia, Shang Ki maestro di Kung Fu), o cosa ho provato in quel momento (il nulla), ma proprio la data esatta. Può esserci un perché ad una richiesta così, mi chiedo? Può. Vuole fare l'oroscopo alla data in cui è morto mio padre. Verificare dove la luce partita milioni di anni prima da gruppi di stelle, che nel frattempo hanno continuato a muoversi e forse oggi non esistono nemmeno più, fosse puntata in quel giorno rispetto a delle costellazioni che, per effetto della precessione degli equinozi, non sono per niente dove pensiamo che siano, e che effetto possa casomai avere avuto tutto questo sul suicidio di un uomo che, in effetti, non ha mai conosciuto. Per questo, mi chiama, e se esiste una definizione migliore di follia, non la conosco. Dovrebbe essere questa, la prima sorpresa, ma la prima sorpresa è che no, effettivamente non me lo ricordo. Mi ricordo il mese e l'anno, ovviamente, e fino a qualche tempo fa avrei saputo dire anche il giorno. Oggi mi confondo, devo pensarci, estrapolare. E' normale ormai son passati vent'anni, dice. No, ne sono passati quasi trenta, rispondo, e dietro il respiro, nel riverbero della voce indovino la stessa routine di sempre, la stessa camera, le sigarette tirate fuori dai due pacchetti di camel ed ogni giorno infilate nel barattolo tondo di latta, rituale inutile, inutilmente perpetuato. E sotto il barattolo lo stesso tavolino, il divano, i mobili di sempre. A Passatoland non si muove un foglia, e per un'attimo penso che il tempo scorre per noi in maniera diversa. Ma non è il tempo. E' il movimento. C'è chi vive come un colibrì, chi come un quarzo. Assenza totale di movimento, terrore profondo che impedisce qualunque cambiamento, qualsiasi trasformazione. Quanto tempo, dice. Già. A Passatoland è tutto come prima. Io nel frattempo mi sono innamorato, disinnamorato, innamorato di nuovo, ho avuto figli, cambiato lavori, case, macchine, assecondato passioni, visto luoghi improbabili, accarezzato sogni, preso inaspettati morsi e altrettanto inaspettate carezze, fatto male, seppellito amici, mi son ritagliato vacanze improvvise, scampoli di gioia, nottate di angoscia, rifugi morbidi, incontrato occhi bellissimi e provato a tenere aperti i miei. Quanto tempo è passato, da quando mi sono salvato la vita? Dieci anni, dice. Senza rimpianti. Nemmeno uno.

giovedì 20 gennaio 2011

Le cose che passano

Non parlano d'altro, non pensano altro, non vogliono altro. Soldi soldi soldi potere soldi comprare vendere soldi sesso interessi soldi immobili azioni soldi investimenti denaro ricchezza e poi, ancora, i soldi. Cosí presi nella loro corsa alla conquista dell'inesistente, nemmeno si accorgono di essere vivi, inconsapevoli come alghe. Parlano parlano parlano e non dicono nulla, sono giá morti, i vermi li mangiano, gli uni e li altri allo stesso modo indifferenti, in una manducazione placida, inesorabile.



domenica 16 gennaio 2011

Parole e immagini


Succede questo: una casa editrice che pubblica uno Scrittore Molto Famoso decide, dopo trent'anni, di cambiare il traduttore storico, affidando la traduzione del nuovo libro dello Scrittore Molto Famoso ad un Traduttore Giovane Sulla Cresta dell'Onda. Niente da dire, il lavoro svolto dal nuovo traduttore è buono (nonostante una scelta opinabile faccia parlare un contadino del midwest americano come un personaggio delle Veglie di Neri), tuttavia in rete si levano diverse critiche. La critica più comune è che lo stile dello Scrittore Molto Famoso adesso sembra più asciutto, freddo, asettico. Sembra che manchi della poesia. Il Traduttore Giovane Sulla Cresta dell'Onda interviene dicendo, più o meno, che il suo stile è più fedele all'originale, e che il calore e la poesia che i lettori italiani trovavano nello Scrittore Molto Famoso forse erano opera del precedente traduttore che, implicitamente, aveva fatto un lavoro peggiore, meno accurato, mettendoci come si suol dire del suo. In questo caso andrebbe fatto tanto di cappello al precedente traduttore, incitandolo ad un impegno letterario diretto che, sicuramente ha nelle corde. Quello che penso, però, è che in una traduzione non esiste una versione più o meno accurata, perché non esiste una verità assoluta, nelle parole. Se sono in campagna, e osservo quella costruzione dove si ripone il grano dopo la mietitura, posso usare la parola granaio, e chi legge la parola genera nella propria mente una immagine, quella di un granaio. Ma di che colore è il vostro? E' giorno o notte? E di che colore sono gli infissi? Com'è la porta, aperta o chiusa? C'è del grano che esce, dalla porta? E se ci sono degli alberi, intorno, come sono? Magari il vostro granaio è rosso con gli infissi bianchi, oppure blu, e forse ha una banderuola sul tetto. O magari una di quelle ruote eoliche? Il mio di sicuro ne ha una, e ci sono cespugli di mirtilli, sul retro. Tutte queste cose non sono scritte nelle parole, sono cose che vengono fuori, sollecitate dal linguaggio verbale e costruite a partire dalla memoria, dalla esperienza e dall'inconscio di ognuno. Tempo fa ho suggerito Calvino ad una persona. Palomar, che ho sentito e sento così vivo e pieno di struggente bellezza,  l'ha trovato freddo e ripetitivo, lei che fredda e ripetitiva non lo è di certo. Ma chissà le parole di Calvino come le ha lette, Lei. O come le ho lette io, magari. Allora, mi viene da pensare, forse il vecchio traduttore ha un dentro caldo, e quando legge lo Scrittore Molto Famoso le immagini che generano le sue parole sono calde e poetiche, così le traduce in italiano meglio che può, cercando di mantenere quello che lui ha provato. E magari il Traduttore Giovane Sulla Cresta dell'Onda invece ha un dentro freddo e asettico, e le immagini che  genera quando legge lo Scrittore Molto Famoso sono prive di calore umano, ed è così che le rende. Allora mi spiego anche che quando uno legge un blog, ad esempio, possa leggere una frase che racconta di una cosa, e dargli un significato completamente diverso. Siamo strane cose, vediamo dentro quando guardiamo fuori, spesso. Ma sul serio: di che colore è, il vostro granaio?

domenica 9 gennaio 2011

Ritratto di donna

Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l'unica al mondo.

Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
Ingenua, ma ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l'avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serva questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.

Tiene nelle mani un passero con l'ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.

Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l'amor del cielo!


(Wislawa Szymborska)

domenica 2 gennaio 2011

Fare

Ci sono cose che si imparano. Negli anni, a forza di esperienza, ho imparato a fare, a muovere le mani e i piedi, a reagire con l'azione alla tendenza innata (in me) a girarsi dall'altra parte e lasciarsi morire, possibilmente all'istante. Forse anche perché un'altra cosa che ho imparato col tempo è che girandoti dall'altra parte, stranamente, non muori affatto all'istante ma, in compenso, ti rendi la vita decisamente peggiore. Per cui alé, opporre movimento al furore cieco, alle bizze, alla depressione e via. Che sembra semplice ma non lo è affatto e, oltretutto, non è una di quelle cose che diventano più facili col tempo. Una cosa che non ho ancora imparato, invece, è il rifiuto, che sarebbe quella cosa per cui se una persona che ami fa una cosa che non ti piace, non stai lì a sopportare, non chiudi gli occhi aspettando che ti passi la giustificatissima incazzatura, e nemmeno la mandi affanculo se la misura della sopportazione fosse già colma, ma invece pianti un paletto, dici un "no, questo no!". Molli due metaforiche labbrate*. Il fatto è che io so perché a me non viene facile. E' che la prima volta che ho mollato le due labbrate di cui sopra, quand'ero appena più di un bambino, la persona oggetto di quel rifiuto fece un gesto violento, e se ne andò per sempre. Non c'entrava niente quel mio primo "no", razionalmente lo so, ma nonostante questa mia razionale consapevolezza, sta di fatto che questa capacità me la sono un po' persa anzi, a guardar bene, non ero nemmeno più capace di riconoscerla. Stasera me la son trovata davanti e, per la prima volta, mi sono accorto che le due labbrate non fanno bene solo a chi le dà, ma soprattutto a chi le riceve. Se proteggi una persona la spengi, mi han detto una volta ed è vero, se opponi alle sue mancanze un rifiuto, invece la rivitalizzi. Oimmena, ora mi tocca rismontarmi tutti i meccanismi che mi ero fatto in quarant'anni!

*Labbrata: Manrovescio mollato sulla bocca (da cui l'etimo), punizione fisica verosimilmente dolorosa divenuta oggetto di proverbiale minaccia, da cui il monito "t'arriva una labbrata!".