lunedì 10 settembre 2012

Giù dalla torre

In questi giorni penso spesso all'amore, una parola sola usata per dire molte cose diverse che a volte amore non sono, una parola ambigua che a volte nasconde lame, veleni, insidie ed altre volte obbliga ad una forma sola sentimenti che si trasformano e che, quindi, nella forma data non stanno. Ci vorrebbero per l'amore dieci, venti nomi diversi, come i nomi che Smilla conosce per la neve. Si ama l'altro da sé per una parola, un gesto, una immagine che suona e ci innamora, ci fa desiderare di conoscere e restringe il tempo, le ore che diventano secondi, i giorni ore. Non ci si basta. Una amica mi ha detto una volta che l'amore non si spiega, si fa. C'è mentre si fa, non c'è più dopo. Una bella cosa da dire per zittire il cretino che parla invece di concludere, ma non molto meglio del baciami scemo. Scopare è l'ovvio, è vero. Il desiderio prende una forma e si concretizza in questo, si cerca l'altro nelle parole, negli sguardi, nella voce, nella pelle ed il sesso è l'ovvia conseguenza. Ma è amore anche il desiderio dell'altro quando il sesso non c'è, l'amicizia esiste ed ha confini. Tutti significa in realtà nessuno e se il desiderio è per tutti allora si è, semplicemente, indifferenti, salvo poi chiamare l'indifferenza la follia di un momento. C'è chi tiene gli occhi aperti e non si lascia in pace un secondo e  chi invece si salva sempre in qualche modo, storpiando i nomi, inventando le parole, escogitando scuse plausibili alla propria meschineria, alla viltà, all'onnipotenza, ad una indifferenza rapace. Tutti bravi, buoni, giusti, tutti pieni di buoni motivi ed armati delle migliori intenzioni. 

Giù dalla torre butterei, di persona e uno ad uno, tutti quelli che si salvano l'anima. Perché l'anima non esiste, esistono le persone, per chi le sa vedere.

mercoledì 8 agosto 2012

Battiato non ci ha capito nulla.

Ci si trova, come ma non per caso, seguendo una parola, un movimento, una forma appena intravista. 
Ci si incontra per desiderio, intuendo qualcosa che l'altro ha. 
Ci si combina, stelline sbreffi e palpi ad urlapicchio, con in mente una sola regola: farsi bene, donarsi il meglio. 
Si impara dall'altro, ogni volta, l'amore. 
Si aprono gli occhi imparando a riconoscere lo sfregio della negazione, la stilettata a tradimento dell'annullamento. 
Da quell'istante non capita più di ritrovarsi sanguinanti senza riuscire a capirne il motivo ed i mostri si riconoscono anche quando si presentano in nappine e paillettes.
Poi arriva il giorno in cui occorre dire che il desiderio è andato altrove, perché così è il viaggio, e ci si osserva l'un l'altra sorridenti, tutto il resto intatto.
Si apre lo scrigno un pomeriggio a rimirare i tesori nuovi, frutti buoni presi senza sottrarli all'altro, moltiplicati invece. 
E finalmente si comprende che Battiato non ci ha capito nulla: la promessa da fare a chi si ama è solo questa: 
Io avrò cura di me.

domenica 29 luglio 2012

Parentesi

Sono mesi che non entro, mesi senza parole da dire, senza pensieri che non fossero logistica e accudimento, è il momento di prendere atto. Accudire significa strangolare, uccidere, bloccare. Saperlo e saper fare un nuovo sono cose diverse, pensare che l'immobilità sia un nido, non essere capaci di una separazione, non sapere chi essere da soli, è malattia, smettere di muoversi perché non si sa più come farlo, anche. Basta un secondo e la cosa diventa evidente, tragica nella sua semplicità. Bene e male, saperli riconoscere, fare la cosa giusta. Il Devo, sempre quello. Forse manca una nascita, forse c'è ma non sono capace di trovarla. Faccio casino, mi perdo. 

Vado a cercarmi, non fate caso se non mi rivedete da queste parti.

giovedì 5 aprile 2012

Quando

Quando il bambino era bambino, 
se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume, 
il fiume un torrente; 
e questa pozza, il mare.

Quando il bambino era bambino, 
non sapeva d'essere un bambino.
Per lui tutto aveva un'anima, e tutte le anime erano tutt'uno.

Quando il bambino era bambino, 
su niente aveva un'opinione.
Non aveva abitudini. 
Sedeva spesso a gambe incrociate, 
e di colpo sgusciava via.
Aveva un vortice tra i capelli, 
e non faceva facce da fotografo.

Quando il bambino era bambino, 
era l'epoca di queste domande.
Perché io sono io, e perché non sei tu? 
Perché sono qui, e perché non sono lí? 
Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? 
La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? 
Non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo,
quello che vedo, sento e odoro? 
C'é veramente il male e gente veramente cattiva?
Come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare?
E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?

Quando il bambino era bambino, 
per nutrirsi gli bastavano pane e mela, 
ed é ancora cosí.

Quando il bambino era bambino, 
le bacche gli cadevano in mano, 
come solo le bacche sanno cadere. ed é ancora cosí.
Le noci fresche gli raspavano la lingua, ed é ancora cosí.
A ogni monte, sentiva nostalgia di una montagna ancora piú alta, 
e in ogni cittá, sentiva nostalgia di una cittá ancora piú grande.
E questo, é ancora cosí.
Sulla cima di un albero, 
prendeva le ciliegie tutto euforico, com'é ancora oggi.
Aveva timore davanti ad ogni estraneo, e continua ad averne.
Aspettava la prima neve, e continua ad aspettarla.

Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l'albero un bastone, come fosse una lancia.
E ancora continua a vibrare.


Peter Handke

mercoledì 4 aprile 2012

Definire


In un post di molto tempo fa avevo cominciato a raccontare una storia, ed essendo una storia, dicevo, non poteva che parlare di un uomo e una donna. Li avevamo lasciati di fronte ad un ignoto, l'uomo timoroso e diffidente, la donna decisa a capirne di più, e chi pensa che dovrebbe essere il contrario non conosce le donne e nemmeno le storie. Da allora molte cose sono successe di cui non diremo, a quei due. Hanno imparato tanto del mondo intorno a loro e ancora di più del mondo dentro di loro. Sono cambiati rimanendo gli stessi, si sono mescolati gioiosamente, come gioiosamente si mescolano acqua ed olio. Camminando nel vento teso, di notte, a volte hanno perso l'uno i passi dell'altro e si sono trovati a parlare da soli, accorgendosi dopo qualche minuto che l'altro non sentiva perché troppo indietro o troppo avanti e ne hanno riso, nervosamente. Altre volte i passi dell'uno sono affondati nella sabbia, ed è stato facile allora sorreggersi alla spalla dell'altro. È anche successo che la strada fosse spaventosa e uno abbia trovato più semplice dedicarsi a dare buoni consigli tendendo la mano, pur di non affrontare da solo il sentiero a strapiombo. 


«Cos'è questa cosa», si sono chiesti infine?


«Se continuiamo così, io non saprò più se so ancora camminare da solo».


«Ho cercato di esserti utile perché avevo paura di perderti».


«Se camminare insieme diviene indispensabile, come può essere anche desiderabile?».


«Utile è la buca su cui ci accovacciamo ogni mattina. Sii per me inutile, invece. Come una poesia!».


«Era molto più bello quando camminavamo senza nemmeno renderci conto».


«Le persone che sono insieme dicono che sono legate. Come possono camminare?».


«Finché nessuno dei due si preoccupava dei passi dell'altro eravamo sempre appaiati, lo so perché quando c'era da scegliere un nome, tu eri sempre accanto a me».


«Noi non siamo legati, nessun vincolo ci unisce. Ad ogni passo scegliamo di camminare insieme».


Hanno appena cominciato questo discorso che un sorriso si affaccia da dietro gli occhi stanchi. Immediatamente fanno un passo indietro e si guardano, come due bambini. La ricchezza di un rapporto si concretizza nel momento della separazione, è vero. Li lasciamo quindi così, stavolta, sorridenti, occhi negli occhi, la punta delle dita appena trattenute dalle mani allargate. Noi dobbiamo andare, adesso, non sappiamo ancora cosa avverrà, ma lo scopriremo. Perché alcune storie finiscono, altre, invece, definiscono.

sabato 24 marzo 2012

Diffidare dei diffidanti


Cercherò di riassumere ma non so se alla fine accorcerò la cosa o se invece finirò per allungarla. Allora, c'è un editore in Italia, che sia poco conosciuto non è il punto, che pubblichi esclusivamente ebooks meno che mai, che pare dedito a singolari prassi lavorative. Pare infatti, a quanto leggo in rete, che tale "editore", le virgolette cominciano ad essere necessarie, chieda ai traduttori che vogliono lavorare per lui un obolo di 160 euro. A quanto capisco a titolo di rimborso per i costi di verifica delle capacità del traduttore, cioè come andare da un avvocato e chiedergli 160 euro per discutere con lui il vostro caso e quindi valutare la sua preparazione prima di affidarglielo. Voi provateci eh, mi raccomando. Poi mi dite. Dopodiché, comunque, i "fortunati" che sono stati scelti per il compito possono aspirare ad avere con tale editore rapporti di lavoro così regolati: l'editore, se vuole, affida la traduzione ad uno dei candidati, il traduttore la esegue, l'editore decide se, come e quando pubblicare e nell'ipotesi che il libro venda il traduttore viene compensato in royalties sul venduto. Ora, non sono un traduttore (anche se mi improvviserò tale in questa occasione) e quindi non posso affermare con assoluta certezza che questa pratica sia fuori dal mondo, ma ritengo che sia una regola di buon senso stabilire che chi ti chiede dei soldi per lavorare non è una persona seria. Ho fatto il fotografo per qualche anno e allora come adesso era noto che le agenzie serie non hanno mai chiesto soldi alle aspiranti modelle, gli editori seri non chiedono soldi per pubblicare libri e le aziende che sono interessate ad assumere non chiedono soldi per la formazione, casomai avviene il contrario, com'è giusto che sia. Mica mi scandalizzo eh, per me se uno casca in simili trappole è bene che resti fregato, così impara, con le sedicenti case editrici così come col sale di Vanna Marchi o col sangue di San Gennaro, che per me è tutta la stessa pappa. E difatti la cosa sarebbe potuta finire lì. Capita anche, però, che un sito americano venga a conoscenza della cosa e, capirete, lì mica sono abituati a queste cose, sono anglosassoni e hanno un'etica del lavoro completamente diversa, quindi succede che questo sito metta online un articolo dove stigmatizza questo comportamento. E probabilmente anche stavolta sarebbe finita lì se una traduttrice italiana, Isabella Zani, non avesse tradotto, appunto, l'articolo nella lingua del paese ove il sì suona. Panico. La casa editrice in questione, tale Faligi Editore di Aosta, chiama i suoi avvocati e fa recapitare alla Sig.ra Zani una lettera di diffida in cui minaccia di adire le vie legali in sede civile e penale se non provvede a rimuovere il contenuto del post. Diffida che viene inizialmente raccolta ma che, dopo qualche giorno di riflessione, la sig.ra Zani decide di disattendere, motivando così la sua decisione. Fin qui quanto è successo. Ora, a me non interessa nulla della casa editrice Faligi, che fino a ieri ignoravo e che ritengo dovrebbe ai signori del sito nopeanuts quantomeno dei ringraziamenti per la pubblicità gratuita che sta ricevendo, ma ritengo inaccettabile il tentativo di equiparare la responsabilità dell'autore con quella del traduttore. Ovvero, se Pinco Pallino scrive che Paolino Paperino è un grasso bipede pennuto su un sito, ed io traduco quel post, nella ipotesi che il Signor Paolino Paperino trovi diffamante tale affermazione questi dovrà adire le vie legali nei confronti dell'autore e non nei confronti miei, che l'ho tradotto (salvo dimostrare poi di non essere effettivamente un grasso bipede pennuto, e qui la vedo dura). Dire che il traduttore è correo, ovvero complice, significa trasferire al traduttore l'onere di verifica della correttezza di quanto scritto, cosa che non può ovviamente essere richiesta a chi non ha i mezzi, la competenza né la responsabilità di farlo. Per dire, sarebbe come trasferire al giornalista o al direttore responsabile di un giornale la correttezza delle affermazioni riportate testualmente. Per fare un'altro esempio, se io scrivo un pezzo in cui cito Pinco Pallino che afferma "Paolino Paperino è un grasso bipede pennuto", non sono responsabile di tale affermazione, in quanto non fatta da me ma, appunto, da altri. Ora, siccome queste cose sono ovvie a tutti, tantopiù a chi di mestiere fa l'avvocato, mi pare evidente che il contenuto della lettera ricevuta dalla sig.ra Zani è in sostanza intimidatorio. Ovvero si minacciano improbabili azioni penali per ottenere la rimozione di un contenuto sgradito, senza peraltro smentire in alcun modo la veridicità di quanto affermato nell'articolo stesso. Ora, siccome amo molto gli avvocati e immagino che i legali della Faligi Editore si facciano pagare un tot per ogni lettera di diffida che scrivono, penso sarebbe molto bello e interessante se tutti ribloggassimo e ritraducessimo il contenuto dell'articolo originale, contribuendo a diffonderlo quanto più possibile. 

E quindi, ecco la mia personale traduzione dell'articolo originale:

"Avviso a tutti gli aspiranti traduttori. Non perdete la vostra chance di entrare a far parte dello staff di un vero editore!
Ecco come funziona. Ci pagate 160 euro per partecipare ad un incontro sulla "Traduzione Letteraria" dove vi spieghiamo tutto della industria editoriale e del ruolo che avete al suo interno.
Dopodiché vi diamo un testo da tradurre a casa. Se passate la selezione, magari vi assegneremo un libro. Dopodiché, vi pagheremo in Royaltes.
Sembra fantastico, eh?
No, non lo sembra. Sembra come una truffa - Il che è esattamente quello che è. Proviamo a… mmm… tradurre:
Ci date 160 €. Poi traducete un libro gratis. Se vende, potreste vedere qualche euro. Se non lo promuoviamo, o se decidiamo di non pubblicarlo, o se semplicemente si tratta di un brutto libro… Oh, bé. Voi ci avete rimesso 160 euro, e noi… nulla. (Tutti i libri della Faligi sono e-books. Questo garantisce non solo che i costi di produzione sono minimi, ma che le vendite - di libri di autori perlopiù sconosciuti e traduttori totalmente sconosciuti - saranno allo stesso modo minime).
Nella operazione di "reclutamento" che Faligi sta attualmente intraprendendo attraverso una campagna di mass mailing, l'anonima redazione di Faligi è alla ricerca di:
- madrelingua italiani che hanno studiato lingue straniere o traduzione; madrelingua (o persone che hanno vissuto all'estero) che abbiano in mente un manoscritto che vorrebbero tradurre e giovani con nessuna esperienza, compresi studenti univeristari.
- madrelingua stranieri che possano tradurre dall'Italiano. In questo caso, Faligi non richiede alcun titolo di studio a condizione che si abbia una "buona esperienza" con la lingua Italiana, acquisita in Italia.
In altre parole: se vuoi essere un traduttore, tutto quello che serve è la "passione", la disponibilità ad essere sfruttati e… 160 euro.
E quindi, come mai ci sono aspiranti traduttori che ci cascano? E perché Faligi ha 1664 "amici" sulla sua pagina facebook?
Per due ragioni. Primo, la disperazione tra i giovani aspiranti traduttori Italiani che non hanno alcuna idea di professionalità e che sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa per avere qualcosa da mettere sui loro curricula. E secondo, perché non c'è limite ai danni che gli esseri umani sono diposti ad infliggere a se stessi.
Ma Faligi Editore fa solo il suo mestiere, giusto? E allora perché tutta questa confusione?
Per questo. Immaginiamo che Faligi editore sia venuto a bussare alla vostra porta, che vi abia offerto un biglietto magico che costa solo 160 euro, che questi 160 euro vi permettano di lavorare gratis per diverse ore come prova, che se passate questa prova potrete spendere alcuni mesi della vostra vita facendo altro lavoro gratuito e che a quel punto il biglietto magico venga infilato in un sacchetto ed estratto a sorte tra migliaia di altri. Forse un giorno sarà estratto, e potreste vincere qualcosa, ma ovviamente non c'è alcuna garanzia.
Se fosse successo questo, avreste chiamato la polizia e fatto arrestare i truffatori per frode [e qui si vede che l'autore non è italiano, ndt].
In questo caso, invece, potete aggiungere un "mi piace" su facebook.
E questo è tutto sulle differenze tra la vita vera ed il magico mondo dei traduttori."

Ripeto, questa è la mia traduzione, ovvero ho compiuto esattamente quanto fatto a suo tempo da Isabella Zani: attendo quindi fiducioso una lettera di diffida, unendomi in questo a chi, come L'Accademia dei Pignuoli, aspira a far ingrassare lo studio legale della Faligi Editore ha deciso di provare a far partire il tam tam. Diffidateci tutti! Chi vuole aderire può ritradurre l'articolo originale (o semplicemente cambiare qualche parola e copiaincollare il testo qua sopra).

sabato 17 marzo 2012

Sono ciò che...


Cartesio era partito con un "Penso, quindi sono". La domanda successiva ovviamente è "sì, ma cos'è, che sono?". Feuerbach ha provato a dire "sono ciò che mangio" ma sul menù si è scatenata una rissa e la cosa è finita lì. Il problema dell'identità è fondamentale, qualcuno non ce la fa, a farsene una e così se la fa prestare dalla famiglia, dalla società, dalla nazione cui appartiene. Dirà allora "io sono una Mamma!" oppure "io sono un avvocato!" o anche "io sono un Americano!" ma questo non significa affatto avere una identità. Significa aver delegato ad altro, fuori di sé, ciò che si è. Il che è un problema perché se poi all'improvviso l'avvocato perde il lavoro e la posizione sociale, se i figli crescono, salutano tutti e vanno giustamente a viversi la loro vita, a quella persona cosa resta? Sarà per questo che quando qualcuno mi dice "sono un Geometra" o "Sono un Idraulico" a me viene da ridere perché trovo buffo che si confonda ciò che si fa con ciò che si è. La vita è fatta di trasformazioni, riflettevo in questi giorni, mentre la morte è assenza di movimento. Tra questi due opposti la vita umana. E mi veniva da pensare che si comincia ad invecchiare nel momento in cui si smette di cercare il cambiamento, la novità, l'esperienza. Conosco persone della mia età ormai incastonate nelle concrezioni delle loro certezze, persone che hanno deciso una volta per tutte cosa è giusto e cosa sbagliato, cosa fa bene e cosa fa male, cosa ascoltare, cosa mangiare e via discorrendo. Poi penso a mia zia che a settantasei anni mi chiede in regalo per il suo compleanno un computer, che vuole imparare a scrivere col Word Processor che lei ha sempre usato la lettera22 e questa rivoluzione mica vuole perdersela. E penso che lei era una ragazzina, al confronto. Meglio farsela robusta, una identità, ma essenziale, senza fronzoli, che se uno perde il lavoro o la posizione sociale o qualsiasi altra cosa, per doloroso che possa essere, mica perde se stesso. Quindi leggo il post di Gipi su quello che è capitato a Michele Serra, e la mia riflessione è stata che forse si è avverato quello che teorizzava Pasolini: il consumo ha sostituito la religione. Prima molti cercavano una identità nel credo, e dicevano "sono un Cristiano" oppure "sono un Musulmano" o anche "sono uno Shintoista, cazzo!" ma oggi al di là delle esternazioni di facciata, in occidente, sono pochi a identificarsi nella religione. E non perché siano andati perduti dei fantomatici valori che nessuno ha mai capito quali fossero (che poi, tutti i politici che si lamentano che si son persi i valori, secondo me è perché si volevano arraffare pure quelli), ma perché oggi non si crede se non per osmosi, assorbendo passivamente una cultura ed un pensiero che pur intriso del veleno cristiano ormai se ne emancipa al punto che oggi, in italia, esiste una larghissima maggioranza di protestanti del tutto inconsapevoli del fatto che il loro stile di vita e la loro idea di religione non abbiano più nulla a che vedere col cattolicesimo, senza neppure che questo rappresenti una svolta perché avviene senza alcuna coscienza di sé ("sono cattolico non praticante" "sono cattolico ma non credo nella chiesa" "sono cattolico ma non credo nell'infallibilità del Papa" significano solo che NON sei cattolico, al limite sei protestante, chiaro?). Sarebbe molto bello poter dire che oggi non si crede più perché si mette l'identità umana al centro di se stessi e dei rapporti con gli altri, ma non è così. Oggi non si crede perché oggi si consuma. L'identità che prima affidavo ad una chiesa, oggi me la scelgo su internet, me la pago coi debiti mastercard, la affido ad una marca ad un modello ad un jingle, oggi uno domani un altro. Quindi succede che qualcuno si senta offeso da chi critica Twitter, perché Twitter è la sua scelta di consumatore e quindi lo rappresenta, diventa parte della sua identità. Il rischio di definirsi in base ai consumi è terribile e la possibilità che questo stia già avvenendo, altissima. "Io sono un tipo Nike/Hilfiger/McDonalds/Dell/Buell e tu? Io sono più una ragazza Blahnik/Zara/Sushi/Dahon. Allora nulla da fare". Da consumatori a prodotti il passo è brevissimo. E definitivo. Meno male che c'è ancora la speranza. Pochi giorni fa guardavo un documentario, "Devil's playground", sulla vita di alcuni giovani Amish nel momento in cui, a sedici anni, vengono allontanati da casa e dalla comunità in cui hanno vissuto tutta la loro vita, per vivere un periodo da persone "normali" e poi scegliere se rientrare e battezzarsi oppure no. Se scelgono di non rientrare, sono di fatto come morti. Il 90 percento di loro rientra e vive la vita che altri hanno scelto per loro. Ma c'è una ragazza, in quel video, che molla tutti e nonostante perda la casa, i fratelli e i genitori, nonostante questo le faccia male, ha le palle di farsi la sua vita, la sua identità, le sue scelte, inseguire il suo sogno di andare finalmente al college, vivere come ritiene di fare, liberamente. Ed è una cosa bellissima. È una cosa giusta. Scaricatelo, se vi capita, tanto in televisione non lo vedrete mai.

mercoledì 14 marzo 2012

SPAM


Non so se sta capitando anche a voi, ma ultimamente lo spam mi pare molto più interessante. E non parlo dei contenuti che si celano dietro ai link (a proposito, MAI cliccare sui link che appaiono nei messaggi di spam), ma del testo che, in teoria, dovrebbe invogliarvi a cliccare il mefitico collegamento. Questa settimana ce ne sono tre che di fatto creano un nuovo genere letterario:

Ecco il terzo classificato:

Nuovo telefono cellulare Bastard Malenko

Bel nome, complimenti al reparto marketing!

per coloro che amano ogni cosa nuova e mobile! 

Tipo la prima invasione di scarafaggi?

Si tratta di un figovinki innovativo!

Ah, bé, allora.


New Malenko Bastard gia Fic

E meno male che ti sei fermato.


Poi c'è il secondo:

E sai qual e la neve fresca? 

Diciamo che mi ero fatto un idea.

E 'cosa assolutamente necessaria nella vostra casa! 

Dici? Non è che stona coi divani?


La maggior parte Neve sul DmBB dell'ordine

Un po' se la sono tenuta per sè.


E poi, rullo di tamburi, il primo classificato:

In nome della verita e menzogna non e un peccato.

Non so dove vuoi andare a parare ma direi che questa l'ho già sentita.


I medici non si consiglia l'ascolto di una banda di ottoni disteso e circondato dai parenti.

No, in effetti anche il mio medico mi ha sconsigliato di partecipare al mio funerale.


Tutti i nostri problemi sul nostro rapporto con i nostri problemi.

Confuso e tautologico. Ma maledettamente ipnotico.

martedì 10 gennaio 2012

Il bacio


In rete si accendono piccole discussioni e, d'improvviso, mi trovo a prendere posizioni che fino a qualche tempo fa non avrei immaginato, così il pensiero si dipana e cerco di capire il perché di questo cambiamento ed il suo significato. Si parla di arte, si cita una canzone famosa di un tipo altrettanto famoso perché qualche mese dopo quel grande successo ha ucciso la propria compagna a calci e pugni. E scopro in me un rifiuto, che quella canzone era bella ma io non ho più voglia di ascoltarla, non mi interessa quanto sia triste e struggente, io non mi ci associo. Mi si ribatte che l'arte è arte indipendentemente dall'artista, una cosa con cui fino a qualche tempo fa mi sarei trovato d'accordo, e invece no, non è così, l'arte di un sadico che massacra di botte la compagna non è come l'arte di chi non lo farebbe mai ed ogni giorno affronta la vita con un sorriso aperto, scopro all'improvviso che non riesco più a separare i due ambiti e penso al racconto che mi fece anni fa una amica brasiliana. In Brasile, mi diceva, se qualcuno ti infila la lingua in bocca è da intendersi come un saluto, è sconveniente tirarsi indietro e, comunque, un bacio è sempre piacevole. Allora mi sembrò strano ma interessante, probabilmente perso in qualche fantasia su Giselle Bundchen, oggi mi chiedo invece se la premessa sia vera: un bacio, a parità di alito e tecnica, è sempre piacevole indipendentemente che a dartelo sia una donna bella e intelligente o una nazista che brucerebbe gli immigrati? E se la risposta è sì, allora il passo successivo è andare oltre il genere e dire che un bacio è un bacio che a dartelo sia la Mezzogiorno o Fabrizio Frizzi, che tanto è tutto uguale, le labbra son labbra e chissenefrega del resto. Orrore. Io non penso affatto che sia così, credo che questa specie di sineddoche per cui si prende la parte per il tutto sia indifferenza e dissociazione, non riesco a separare le labbra che baciano dalla persona che c'è appena dietro, come non riesco più a separare la canzone dalla storia del cantante omicida o le architetture di Albert Speer dal contesto in cui sono nate e dall'ideologia che esprimevano. Anche Hitler faceva acquerelli, non so come siano, non mi interessa vederli. L'arte a volte è un bacio avvelenato.