martedì 26 aprile 2011

Ronzii

MANGIATE MERDA!!!
80 miliardi di mosche non possono sbagliare!





E' una vecchissima battuta, ma pare che al giorno d'oggi anche questi siano argomenti.
Pazienza.

Buona Primavera!!

lunedì 25 aprile 2011

Liberarsi




Liberarsi, perde una vocale e diventa librarsi, leggeri, nuovi. Chissà se avremo bisogno ancora una volta di qualcuno che arrivi in armi, a liberarci da noi stessi.

domenica 24 aprile 2011

Fili

Provo a seguire il filo del discorso ancora un po', adesso che siamo arrivati a parlare della felicità. E mi chiedo, il nostro modello sociale facilita o impedisce la felicità? Si è felici quando si è appagati, quando siamo in grado di realizzare i nostri desideri. Desidero una casa, riesco a costruirla dove e come volevo, sono legittimamente felice. La società capitalista rende l'uomo infelice, perché l'infelicità è condizione del consumismo. L'uomo non ha rapporto col risultato del proprio lavoro, ed i suoi desideri sono artificialmente portati, attraverso la pubblicità, verso sogni irrealizzabili. Il desiderio sessuale viene dirottato verso un modello di donna, o di uomo, inesistente, artificiale, mostruoso. La bellezza che campeggia nei poster è il risultato di ore di ritocco fotografico, di alterazioni delle proporzioni. Gambe e collo che si allungano in proporzioni preadolescenziali, gli occhi si fanno enormi come in un cucciolo, le labbra sproporzionate richiamano una sessualità matura in un corpo artificialmente reso acerbo. Alieni. E mi viene da pensare che questo immaginario erotico abbia anche a che fare con la pedofilia, che sarà pur vero che è sempre esistita ma non mi pare in questa misura. Se a diciotto anni il mio desiderio sono quattro ruote coperte per andare al mare con gli amici e mi compro una 126, sono felice. Ma se il mio desiderio è una ferrari o una porsche, perché la pubblicità mi ha convinto che con quegli oggetti la mia vita sarà completa, e senza sono solo un poveraccio, sono destinato all'infelicità. Tempo fa leggevo su una rivista che la Porsche Cayman S fallisce il suo obiettivo perché, pur essendo una bellissima automobile che costa quello che un operaio guadagna in sei anni, testimonia il fatto che la propria vita è stata di successo, ma non tanto quanto avremmo voluto, perché altrimenti ci saremmo potuti permettere la più costosa 911. In pratica un'auto che dà a chi la possiede, ed ha speso bei soldi per averla, la patente dello sfigato, del vorrei ma non posso. Nel modello capitalista, nessuno può essere felice, altrimenti il giochino crolla. Berlusconi è un infelice che paga tutti coloro coi quali è in contatto, nella certezza interiore che nessuno gli si accosterebbe gratis. Pare fosse stata Coco Chanel a dire "non si può mai essere troppo ricchi né troppo magri", e a me sembra che questa frase sia un buon punto di partenza per l'infelicità. Un mondo di anoressiche pronte a tutto per comprare cose di cui non hanno bisogno e a cui delegano una felicità irraggiungibile. Un mondo di uomini che delegano agli oggetti una identità che non hanno, e al potere economico una vitalità inesistente, una assenza di fantasia. Il capitale ormai è tanto forte e accentrato che non ha più bisogno nemmeno della religione per svolgere quella funzione di controllo sociale che tutti gli spiritualismi hanno sempre portato a chi detiene il potere. Infatti tutte le religioni predicano una felicità in un mondo diverso da questo, ed esortano alla rinuncia, al distacco, al porgere l'altra guancia. E a chi ti schiaffeggia la cosa va benissimo così. Gesù un rivoluzionario? Ma non scherziamo. Oggi il capitale svolge la funzione della religione e, a chi rinuncia a realizzare autonomamente la propria vita, offre una via d'uscita, un miracolo in cui il deus ex machina non è più la divinità ma il gratta e vinci, il win for life, la lotteria, la grazia catodica del grande fratello. Occorre un pensiero nuovo che metta l'uomo l'essere umano al centro, che restituisca alle persone la capacità di essere felici, e quindi la possibilità di realizzare la propria felicità. 

La libertà

sabato 23 aprile 2011

Non è nemmeno il volo di un moscone.


Torno sui miei passi, annuso, guardo le parole. Cos'è che volevo scrivere? Ho una idea in testa, ma mi accorgo di aver detto tanto, forse troppo, senza struttura, e che quello che per me era il nucleo del discorso si è perso nel mezzo, senza un seguito. Libertà è essere sani e felici. E credo occorre un po' di spiegazione, specie sull'ultima parte , che la felicità è spesso considerata un accessorio, una cosa che ci può essere o non essere nella vita, tanto non succede niente, non è mica indispensabile, essere infelici non impedisce di crescere, vivere, andare a lavorare. E invece secondo me è l'unica cosa importante, l'unica domanda da farsi e fare di continuo. Sei felice? Lo sei? Lo sono? Occorre essere sani, perché la malattia, in particolare la malattia del pensiero, è una gabbia, una limitazione. Felici, perché anche l'infelicità è una gabbia. Ma le gabbie non sono un destino ineluttabile, non sono ermetiche. Malattia e infelicità sono più simili a nasse, quelle ceste che usano i pescatori, calandole su fondo. I pesci entrano facilmente, ma poi non sanno più trovare l'uscita, che c'è, esiste, è sempre stata lì, ma per vederla occorre uno scatto, un pensiero diverso che la renda visibile. Come al luna park, nel labirinto di specchi, che restavi a girare finché qualcosa nella testa scattava e vedevi l'uscita, chiarissima, al punto da chiederti come avessi fatto a non vederla prima.

venerdì 22 aprile 2011

Libertà non è star sopra un albero


I post si intrecciano, i commenti si allungano e leggendo leggendo mi viene una riflessione sulla malattia e sul suo opposto, la salute. Su un sito che trovo rimbalzando leggo un articolo interessante, che spiega bene i meccanismi con cui le multinazionali farmaceutiche, ormai, non si limitano più a vendere i loro prodotti chimici per curare patologie per le quali non hanno nessuna efficacia dimostrata, ma che ormai si inventano direttamente le malattie, così poi possono inventarsi anche la cura. Il terreno più fertile è ovviamente la malattia mentale, perché pare che nessuno, o forse sarebbe più esatto dire quasi nessuno, è mai riuscito a tirare una linea che delimitasse cosa è malattia mentale e cosa non lo è. Ma senza una linea che segni il confine tra sanità e malattia, svanisce anche la possibilità di una cura. Con il corpo è facile, ti infili il termometro, conti il tempo, poi lo estrai e leggi sul vetro la temperatura. Vedi? Il 37 è in rosso. 36 e nove ed è solo un'alterazione, stai bene, vai a scuola, 37 e uno e stai a casa. Facile. Con la psiche non è così semplice. Tra una madre sana che fa un figlio sano ed una madre anaffettiva che fa il figlio schizofrenico il comportamento esteriore può benissimo essere indistinguibile. Il pazzo che stermina la famiglia perché sente le voci è spesso, quasi per definizione, una persona normalissima il cui gesto lascia basiti vicini e conoscenti, perché se tu sei matto e parli coi folletti nel privato di casa tua, quello non è un disagio che coinvolge la società, e quindi non esiste, non finisce nei prontuari. Poi magari quello stesso che parla coi folletti dopo qualche anno fa una strage, ma la cosa era imprevedibile, non aveva dato segnali. E tu diresti ma come no, parlava coi folletti!! Ma quella è libertà. Libertà di essere malati, malattia come identità. Un uomo che vorrebbe scopare un manichino, a me tanto sano non sembra, però se lo fa nel privato di casa sua è libertà, e anzi c'è chi si mette a produrre i manichini più veri del vero e così tutti sono felici. Certo, quello è uno che si tiene una bambola di donna a grandezza naturale nell'armadio, la veste, gli fa il bagno e se la porta a letto, però è normale, magari ci lavori insieme per anni e nemmeno lo sai. Molti anni fa in un sexy shop in cui ero andato a comprare del materiale per una foto (lo so, sembra una scusa ma non lo è), mi hanno offerto una testa vibrante. E quindi so che esistono persone che magari tornano a casa la sera con una testa vibrante sottobraccio Qualsiasi cosa sia. Libertà è un concetto difficile, mica vuol dire che uno può fare tutto, che tanto è tutto uguale. Questo è quello che intendono in America, però si riferiscono al mercato e non all'uomo. Che è giusto poter inseguire la propria felicità, ma se questa consiste nel fare a pezzi la gente forse una domanda bisogna porsela a prescindere dal fatto che uno poi le sue fantasie le realizzi o meno. Forse nemmeno è vero che Libertà è partecipazione, come cantava Gaber. Mi verrebbe da dire che uno è libero se è sano e felice. E penso, un matto è libero di non esserlo più? No. Perché la malattia è la sua gabbia, la possibilità che esclude tutte le altre. Un matto forse si può curare, ma serve una azione esterna, quindi forse la malattia mentale è un sistema chiuso, che non contiene al suo interno l'energia sufficiente ad uscirne. Leggo, che non contiene più la capacità di immaginazione, la fantasia necessaria a diventare altro. Il fatto è che il morbillo si vede, ti vengono i puntini rossi, la malattia mentale no. Questo per le case farmaceutiche è una manna, perché se io ti dico che tuo figlio non va bene a scuola perché non gli dedichi tempo e attenzione e affetto, perché lo lasci otto ore di fila a rincoglionirsi davanti alla televisione e per cena gli molli un pacchetto di patatine, ti metto in discussione, ti rompo i coglioni. Ma se invece ti dico che tuo figlio ha un deficit dell'attenzione, una sindrome da iperattività e che col Ritalin gli passa, tu a dargli il Ritalin non solo non hai dovuto muovere un dito né cambiare una virgola della tua vita, ma fai anche la figura del genitore premuroso che compra le medicine al suo bambino speciale. Se poi dopo qualche anno il Ritalin si scopre che fa male o che, come per l'80% degli antidepressivi, non ha nessuna valenza terapeutica, che ci vuole? Nulla: basta cambiare idea, il deficit di attenzione non esiste più, ci si  inventa il disturbo bipolare, che nessuno sa cosa sia, lo si scrive nel DSM e si decide che quello che prima era una cosa, adesso è un'altra. Come si descrive una malattia nel DSM? Da quel poco che capisco, come se fosse un'oroscopo, in modo tanto generico da farci rientrare di tutto. Sei una persona sensibile ma a volte la tua sensibilità è un limite e non riesci a comunicare con gli altri! Venere in pesci? No, ansia sociale. Sei pieno di vita e di energia, ma ci sono momenti in cui non avresti voglia nemmeno di uscire di casa! Mercurio in leone? No, disturbo bipolare. E via così. Che se uno se lo legge di fila scopre che ce le ha tutte, le malattie. Anche la Bilharziosi che è una rogna di quelle vere. Secondo me le case farmaceutiche pagano le celebrità per dichiarare che hanno una certa malattia, perché così diventa di moda. Michael Douglas è stato in una clinica per Sex Addicted, ma esiste una cosa così? E poi, dopo che c'è stato lui, ma che non vuoi andarci anche tu, a far vedere a tutti che trombi così tanto che è diventato un problema serio? Ora la moglie ha dichiarato che si sta curando per un disturbo bipolare e subito tutti a fare a gara e a dire anche io anche io. Che se ho gli sbalzi di umore perché il direttore di banca mi telefona per rientrare del fido è una cosa, se soffro della stessa malattia che ha anche Catherine Zeta Jones, è tutta un'altra. 

martedì 19 aprile 2011

Habetis Papam


C'è una vecchia battuta che mi tornava in mente oggi ripensando al film. Dice pressapoco così: "Perché i Generali sono così stupidi? Perché li scelgono tra i Colonnelli". Moretti confeziona un buon film, con una regia senza troppi fronzoli, una buona scelta delle musiche, un film leggero. Si ride, ci si interroga, si riflette. Certo, tutta la parte della psicologa sembra buttata lì a caso, senza un motivo, una costruzione, un approfondimento. Certo, anche la pretesa ambizione del neopontefice per il teatro non trova una soluzione e si esaurisce in poche battute, come qualsiasi tentativo di superare la superficie di un film che affronta molti argomenti senza esaurirne nessuno. E l'intenzione è manifesta sin dalle prime battute, quando interrogato dai cardinali Moretti confessa di essere ateo questi esclamano che peccato e lui non trova altro da dire che sì, è un peccato ma vabbé. E quando gli fanno notare che la nozione di inconscio e quella di anima sono incompatibili, abbozza. Ma allora, mi viene da pensare, non è il neopapa in crisi di vocazione, è Moretti che non sa più chi è e cosa pensa. Ma la cosa peggiore del film, quella che a me è arrivata dopo qualche ora, è questa visione della chiesa, nella fattispecie di un conclave, come di una allegra brigata di Don Camilli, tutti in fondo buoni paciosi e mansueti, una chiesa ingenua di cardinali che pregano di non essere eletti, che giocano a scopa e a pallavolo, pronti a fare girotondi come i pretini di Mario Giacomelli. Una chiesa con cui è facile ridere, ma di cui non si ride affatto, una rappresentazione umana e umanizzante di un potere che invece, nella realtà, è altro. La chiesa è la violenza di Teresa di Calcutta che si rifiuta di curare i poveri perché la sofferenza avvicina a Dio, è quella dei funerali solenni ai dittatori come Franco e Pinochet ma negati a chi difende la propria dignità come Welby, la chiesa è quella che nega alle donne prima ed agli uomini poi il diritto al proprio corpo ed alla propria vita. La chiesa è quella cosa che nega la realtà dell'uomo perché aspira al divino, ossia per definizione al disumano. Il papa ed i cardinali che racconta questo film, semplicemente non possono esistere perché, se pure esistessero, non occuperebbero quel posto e quel potere. I Generali sono stupidi perché li scelgono tra i colonnelli, il Papa è uomo di potere perché scelto tra uomini che al potere hanno consacrato la loro intera vita. Moretti ci dice che la chiesa sarebbe anche bella o quantomeno innocua, se fosse altro. Che è un po' come dire che la merda sarebbe anche buona, se sapesse di prosciutto.

domenica 3 aprile 2011

Primavera


La temperatura si alza e la città, la notte, torna a profumare di buono e mette addosso la voglia di camminare senza meta, occhi spalancati come fanoni e via andare, a catturare scorci, angoli, momenti, profumi. Il glicine della grande villa chiusa come uno scrigno, talmente preziosa che è difficile oggi immaginarla abitata, il gelsomino che da qualche terrazza nascosta ti assale alle spalle, la nota improvvisa del caffè che filtra da sotto un bandone. Fermarsi a raccogliere i semi delle belle di notte tra gli sguardi incuriositi dei passanti e dopo un'anno finalmente preoccuparsi di un vasetto che li accolga. E in tutto questo, interrogarsi sulla felicità. Forse per me la felicità è solo questo, essere vivi e ancora capaci di meraviglia, essere qui ora a vedere ascoltare annusare. La felicità come assenza di dolore fisico e mentale. Epicuro mi avrebbe dato una pacca sulla spalla, io torno ad annusare la notte e rimpiango di non avere un Montecristo a portata di mano per poter dare il mio contributo.