sabato 3 luglio 2010

Il Futuro, negli anni '70



Sono nato nel 1968, in un periodo in cui tutto sembrava possibile. Ma questo non è un post sul '68. Che i sognatori di allora si siano venduti la possibilità di un cambiamento per un posto in banca, che abbiano trasformato idee in ideologie, che abbiano scambiato amore e indifferenza, non mi interessa. Critiche autocritiche analisi, basta: del '68 non se ne puole più, davvero. A volte mi viene da pensare che perché si realizzi una nuova rivoluzione toccherà andare a far fuori 'sti vecchiacci uno per uno, che finché campa il fantasma di questa rivoluzione mancata, ci sarà sempre la loro, a rivendicare un primato. E d'altronde, una rivoluzione che non spazzi via per primi i propri eroi, è impensabile. Io i primi mesi del '68 ero nell'utero di mia madre, per dire. Non poteva importarmi meno delle rivoluzioni fuori, ne avevo già abbastanza da fare per conto mio. Poi, un anno dopo che sono nato, un uomo camminava sulla luna. No, dico: un uomo! Sulla luna. Roba da matti. E io me lo son visto! Non che me lo ricordi eh, ma insomma, pare fossi lì, come tutti, a seguire l'imponderabile su un televisore in bianco e nero, in una casa d'affitto a riva degli etruschi. Qualche anno più tardi, una decina, mia zia mi diede un pacco di giornali che aveva tenuto da parte. Erano tutti i giornali e le riviste del periodo dello sbarco, compresa una edizione del messaggero con un LUNA strillato a piena pagina. Mai più vista una prima pagina così, credo di averlo ancora da qualche parte. Io giocavo coi razzi, il futuro erano le esplorazioni spaziali, e mio padre mi diceva "no, prima dovremmo esplorare il mare, è quella la frontiera più immediata" e mi parlava di case sottomarine. Quando andavamo ai giardini dell'orticoltura, che all'epoca avevano un'enorme locomotrice a vapore a far ruggine nel prato, accanto all'ingresso c'era una gelateria che faceva il gelato artigianale. Ogni volta mi sarei voluto fermare e prendermi un bel cono tutto cioccolata. Ma mia madre non voleva: "Prendi quello confezionato, è più sano! Quel gelato lì chissà chi l'ha fatto, magari c'è andata qualche mosca dentro!" e via di pinguino, che a me non è mai piaciuto con quel velo infinitesimale di cioccolato amaro diaccio marmato che non ne voleva sapere di sciogliersi in bocca. Erano anni così: Industriale era buono. Industriale era sano e controllato, e c'è da dire che gli artigiani di allora, in effetti, ad una mosca in più o in meno non facevano caso davvero. Per me che son cresciuto in quegli anni, il futuro era il dominio sulla natura, piloni di acciaio svettanti, mondi ordinati e astronavi nel cielo. Non ce l'avevano mica detto, che il futuro se l'erano venduto alle sette sorelle, alle multinazionali, alle banche. Oggi un pilone è solo un pilone, un pezzo di ferro che qualcuno dovrà rottamare e smaltire in modo che faccia meno danni possibile. Ma anche se il futuro che ci avevano promesso negli anni '70 ce lo hanno rubato, c'è una cosa che è impossibile rimuovere da chi, come me, ha respirato quegli anni. L'idea che l'impossibile non esiste. No dico: un uomo. Sulla luna! Ci pensate?

Tempo fa girando in macchina un sabato pomeriggio ho visto questo pilone, perfetto e solitario tra le colline toscane, e mi è venuto in mente che era questa, l'immagine del futuro, negli anni '70.

5 commenti:

  1. A me più che un pilone mi parrebbe un traliccio, comunque.

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  2. Ma che è successo esattamente perché il sogno svanisse? Era insostenibile, troppo costoso, non c’erano risorse sufficienti? Oppure aveva in sé i germi della libertà e non era funzionale al controllo, diversamente dal trionfo dell’impalpabile, della finta uguaglianza mediatica ecc.
    A me questa cosa fa arrabbiare, mi sento derubato.

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  3. Credo che la capacità di immaginare un futuro sia intimamente legata alla speranza, ed anche ad una forma di ingenuità. Il futuro deve contenere un inaspettato cui anelare, un altrove possibile, un ignoto da cui proviene la spinta al nuovo. Credo che il crollo del dualismo usa urss alla fine degli anni '80 ci abbia privato del nostro altrove, rendendo il mondo omogeneo, uniforme, conosciuto. Ora che conosciamo tutto ciò che esiste, ora che abbiamo perso l'ingenuità necessaria a credere ad una alternativa qualsiasi, geografica, politica, ideologica, non sappiamo più immaginare un altrove, non abbiamo più orizzonti da esplorare, tutti piccoli Ulisse confinati in una Itaca globale. Credo sia questo che ci impedisce, oggi, di immaginare un futuro. La fantascienza è morta perché non c'è nessun luogo dove andare. Sta a noi recuperare questa capacità, trovare una nuova frontiera, fuori e dentro di noi. Credo.

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  4. Sì, ecco: sicuramente questa riflessione dovrebbe investire anche la crisi della fantascienza. È un elemento essenziale. Il mutamento dell’immaginario, voglio dire.

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