martedì 8 ottobre 2013

Parole e silenzi

Ci sono parole, a volte, che ti muovono, come un profumo nella notte, lieve ed inequivocabile. 
A cavallo tra gioco ed equivoco, stanno, come ragazzine impertinenti.
E ci sono silenzi, talvolta, che parlano un linguaggio che sa di confidenza e conoscenza antichi.
Nel mezzo chiacchiere lievi ci rassicurano che il tutto è senza impegno, che non ci metteremo in gioco facilmente, che in qualsiasi momento basterà gridare "fido!" perché tutto torni lesto come prima.
"Entra nella mia vita con le mani alzate e nessuno si farà del male", potresti dirmi con una parlata da cowboy in un vecchio western con John Wayne. 
Sarebbe bello, ma non ti viene in mente e non ne ridiamo insieme. Peccato. 
D'altronde non viene in mente neanche a me.
Vorrei rassicurarti e, invece, mi sento di farti una promessa.
Qualsiasi cosa accada, sarà con le ginocchia sbucciate, o non sarà.
Non so se ci riesce. 
Non c'è altro modo.
Scalzi.
A perdifiato.
Sorridendo.

giovedì 8 agosto 2013

Il dono infinito


Un pittore ci aveva promesso un quadro.
Ora, in New England, ho saputo che è morto. 
Ho sentito, al pari di altre volte, la tristezza di comprendere che siamo come un sogno. 
Ho pensato all’uomo e al quadro perduti.
(Soltanto gli dèi possono promettere, perché sono immortali.)

Ho pensato a un luogo prefissato che la tela non occuperà.
Poi ho pensato: se stesse lì, sarebbe con il tempo una cosa di più, una cosa, una delle vanità o
abitudini della casa; ora è illimitata, incessante, capace di qualsiasi forma e qualsiasi colore e non costretta in alcuno.
Esiste, in qualche modo. 
Vivrà e crescerà come una musica e starà con me fino alla fine. 
Grazie, Jorge Larco.
(Anche gli uomini possono promettere, perché nella promessa è qualcosa di immortale.)

Jorge Luis Borges

The Unending Gift (da Elogio dell'ombra, Buenos Aires, 1969)

martedì 30 luglio 2013

Perché sì




Da un po' non mi affaccio, la primavera quest'anno si è persa, in compenso è arrivata una estate robusta con cui valgono pochi discorsi. Così nel caldo dipano i pensieri, di nuovo, qui.

Qualcuno una volta ha detto che ogni traduzione è un tradimento, una riscrittura, perché cambiando lingua e parole il senso non può che essere diverso dall'originale. Ma al momento che viene espresso, anche un pensiero viene tradotto da una immagine, un sentire, e quindi invariabilmente tradito. 

Alcuni pensieri hanno una valenza pratica: trovare un sentiero in mezzo al bosco, non raccogliere i funghi rossi a pallini bianchi, fare attenzione ai grossi rettili carnivori, roba così. Se l'immagine del mio rettile mentale non è esattamente quella che vien fuori quando urlo "Tirannosauro, laggiù!!", chi se ne importa, è una perdita accettabile se l'alternativa è essere mangiati.

Ecco perché tanta parte della letteratura è, soprattutto, manualistica, anche quando non sembra. Occorre fornire mappe del mondo, per aumentare le possibilità di sopravvivenza.

Però.

Però ci son pensieri che nelle parole, non ci stanno.
E anzi, non sono nemmeno pensieri, sono moti. Sono quella cosa che precede il pensiero, che ci fa muovere un passo o sorridere o sgranare gli occhi prima ancora che la mente possa pensare un semplice "lo voglio!".

I bambini sono bravissimi in questo, più piccoli sono meglio è, li vedi puntare come girasoli l'oggetto del desiderio, mollare in un secondo ciò che tenevano in mano e dirigersi lì, dritti, senza dubbi o tentennamenti.
Poi arriviamo noi, con la famiglia e la scuola, a chiedergli conto di quel desiderio. 

Perché proprio questo (che magari è caro o scomodo o difficile da trovare o semplicemente non piace al babbo o alla mamma) e non quello (che invece costa meno o ce l'hanno sotto casa o piace tanto a mammà)? 
Perché un cane e non un pesce?
Perché una ciclista e non una principessa?
Perché un indraulico e non un calciatore?
Perché? Non vedi che in fondo è uguale, anzi, che dico uguale, meglio, incommensurabilmente meglio? 
Perché?

Maledetti criminali, e che deve rispondere il bambino? 
Che non lo sa! 
E ci credo che non lo sa! Certe cose mica si esprimono a parole, scemi! 

Uno, quel desiderio, lo soddisfa oppure no, compra il coso piumoso o spiega che, davvero, un cervo pomellato in salotto non si può, ma non si dovrebbe mai chiedere a qualcuno di spiegare un desiderio, perché le parole non bastano e, siccome siamo abituati a misurare il mondo con le parole, si corre il rischio di pensare che ciò che le parole non possono esprimere, non abbia alcun valore. 

A quel punto, uno che non sa rispondere alla domanda "perché questo e non quello?" si può sentire stupido, così magari la prossima volta che avrà un desiderio sano, vero, penserà che sia una cosa da stupidi, da bambini appunto, e smetterà di ascoltarsi, condannandosi da solo all'infelicità. E se papino o mammina son criminali, e ce ne sono tanti che nemmeno sanno di esserlo, levato di mezzo quel desiderio lo rimpiazzeranno coi loro desideri, con le loro ambizioni.

Mi torna in mente una frase di Guareschi da dentro le mura  del lager di San Sabba, che era una risiera e ci piace chiamarla così ma lager e stermini non sono esclusiva di un popolo, e la frase intera io non sono bravo a ricordarmela tutta a memoria ma diceva più o meno che se un domani si fosse trovato a dover spiegare al figlio perché avesse scelto la coerenza a costo del carcere e forse della vita quando sarebbe bastato un gesto simbolico per essere lasciato libero, avrebbe potuto solo dire "perché sì", che ci son cose che si fanno solo "perché sì", e qualsiasi altra domanda è inutile.

E dipanando pensieri e memoria mi accorgo che tutte le cose che mi hanno fatto stare bene, tutte, son cominciate così, con un "perché sì" quando tutto, intorno, mi spiegava con grafici e carte che si trattava della scelta meno sensata.

Ma fregandomene del senso, della praticità, del tornaconto, ho trovato felicità, e costruito rapporti, e identità.

Penso ad una amica bellissima, che non si chiama Arianna, e al suo nastro sempre più forte e prezioso.

Penso ad un amico bellissimo, e a chi ha avuto la fortuna di avere in casa un genitore che non ha mai rinunciato ai suoi sogni, alla sua identità, senza mai chiedere quanto fosse caro il biglietto da pagare per vivere la vita che si è scelto, senza forse nemmeno accorgersi che ci fosse un biglietto. E tutto torna, anche la meraviglia di una cura inaspettata.

Così mi chiedo, se il nostro desiderio era avere una casa sull'albero e ci siamo imbarcati in un mutuo trentennale per sessanta metri quadri di cemento in periferia, è tanto strano, essere infelici?

I boschi però sono pieni di alberi, è un fatto.

Allora, forse, basta solo uccidere papino, mammina e tutti gli déi da cui attendiamo un permesso, e darcelo finalmente da soli.

Non è mai troppo tardi per costruirsi un infanzia felice.

domenica 24 febbraio 2013

Pulsazioni

Ogni tanto passo, scosto le tende e guardo, senza sentire, finora, il desiderio di aggiungere nulla ad un percorso compiuto, perfettamente definito nei suoi passaggi, fino all'ultimo.  Sono passati mesi e pure ho vissuto, il sangue ha scorso e scorre ancora nelle vene, anche se non arrossa le guance, l'aria si scalda nei polmoni ed esce umida nel paesaggio gelato anche quando non formula parole né risa. Eppure è come se tutto avvenisse molto, molto lontano da me. Da qualche parte, in questi mesi, mi sono perso il desiderio. Ho chiuso se non gli occhi le braccia, mi sono irrigidito, lasciando fuori tutto e tutti, anestetizzato da qualcosa che non ho saputo riconoscere e che ancora mi sfugge.
"Si va incontro all'altro senza portarsi dietro aspettative, senza proiettare nulla ma anche senza limiti,  in ascolto, modificando il proprio movimento in base al movimento dell'altro. Senza incontro, senza trasformazione, non c'è ricerca". Questo, mi dice una voce nuova, ed io annuisco e mi faccio violenza, maledicendo i miei limiti. 
L'inverno addormenta la natura, sotto la neve, tutto sembra morto. Tuttavia, rinnegata, temuta,  derisa, desiderata, osteggiata, insperata, tornerà la primavera. Me lo dicono i sogni.

lunedì 10 settembre 2012

Giù dalla torre

In questi giorni penso spesso all'amore, una parola sola usata per dire molte cose diverse che a volte amore non sono, una parola ambigua che a volte nasconde lame, veleni, insidie ed altre volte obbliga ad una forma sola sentimenti che si trasformano e che, quindi, nella forma data non stanno. Ci vorrebbero per l'amore dieci, venti nomi diversi, come i nomi che Smilla conosce per la neve. Si ama l'altro da sé per una parola, un gesto, una immagine che suona e ci innamora, ci fa desiderare di conoscere e restringe il tempo, le ore che diventano secondi, i giorni ore. Non ci si basta. Una amica mi ha detto una volta che l'amore non si spiega, si fa. C'è mentre si fa, non c'è più dopo. Una bella cosa da dire per zittire il cretino che parla invece di concludere, ma non molto meglio del baciami scemo. Scopare è l'ovvio, è vero. Il desiderio prende una forma e si concretizza in questo, si cerca l'altro nelle parole, negli sguardi, nella voce, nella pelle ed il sesso è l'ovvia conseguenza. Ma è amore anche il desiderio dell'altro quando il sesso non c'è, l'amicizia esiste ed ha confini. Tutti significa in realtà nessuno e se il desiderio è per tutti allora si è, semplicemente, indifferenti, salvo poi chiamare l'indifferenza la follia di un momento. C'è chi tiene gli occhi aperti e non si lascia in pace un secondo e  chi invece si salva sempre in qualche modo, storpiando i nomi, inventando le parole, escogitando scuse plausibili alla propria meschineria, alla viltà, all'onnipotenza, ad una indifferenza rapace. Tutti bravi, buoni, giusti, tutti pieni di buoni motivi ed armati delle migliori intenzioni. 

Giù dalla torre butterei, di persona e uno ad uno, tutti quelli che si salvano l'anima. Perché l'anima non esiste, esistono le persone, per chi le sa vedere.

mercoledì 8 agosto 2012

Battiato non ci ha capito nulla.

Ci si trova, come ma non per caso, seguendo una parola, un movimento, una forma appena intravista. 
Ci si incontra per desiderio, intuendo qualcosa che l'altro ha. 
Ci si combina, stelline sbreffi e palpi ad urlapicchio, con in mente una sola regola: farsi bene, donarsi il meglio. 
Si impara dall'altro, ogni volta, l'amore. 
Si aprono gli occhi imparando a riconoscere lo sfregio della negazione, la stilettata a tradimento dell'annullamento. 
Da quell'istante non capita più di ritrovarsi sanguinanti senza riuscire a capirne il motivo ed i mostri si riconoscono anche quando si presentano in nappine e paillettes.
Poi arriva il giorno in cui occorre dire che il desiderio è andato altrove, perché così è il viaggio, e ci si osserva l'un l'altra sorridenti, tutto il resto intatto.
Si apre lo scrigno un pomeriggio a rimirare i tesori nuovi, frutti buoni presi senza sottrarli all'altro, moltiplicati invece. 
E finalmente si comprende che Battiato non ci ha capito nulla: la promessa da fare a chi si ama è solo questa: 
Io avrò cura di me.

domenica 29 luglio 2012

Parentesi

Sono mesi che non entro, mesi senza parole da dire, senza pensieri che non fossero logistica e accudimento, è il momento di prendere atto. Accudire significa strangolare, uccidere, bloccare. Saperlo e saper fare un nuovo sono cose diverse, pensare che l'immobilità sia un nido, non essere capaci di una separazione, non sapere chi essere da soli, è malattia, smettere di muoversi perché non si sa più come farlo, anche. Basta un secondo e la cosa diventa evidente, tragica nella sua semplicità. Bene e male, saperli riconoscere, fare la cosa giusta. Il Devo, sempre quello. Forse manca una nascita, forse c'è ma non sono capace di trovarla. Faccio casino, mi perdo. 

Vado a cercarmi, non fate caso se non mi rivedete da queste parti.