lunedì 7 febbraio 2011

Guru Meditation


Ognuno di noi ha i propri paletti, maginot invisibili che segnano un limite oltre il quale non consentiamo l'accesso a nessuno. Chi sconfina incontra il rifiuto, che anche quando è violento, come uno starnuto, è sempre una reazione di difesa. Il limite ci definisce, quindi chi ne è privo è indefinito, nebbioso, assente a sé stesso. Un pensiero radicato a fondo dalla religione e da madri desiderose di avere figli obbedienti e che non facciano fare brutte figure, è che occorra "essere buoni". Che si debba ossia accettare e sopportare ciò che gli altri ci impongono fintantoché le regole sociali dell'apparenza non siano soddisfatte e divenga quindi lecita una reazione. Purtroppo però, la società si occupa della realtà materiale: dei beni, delle proprietà, della integrità corporea. E' quindi socialmente inaccettabile il furto, il pugno, il graffio alla macchina, ma poiché la società non teorizza l'esistenza di una realtà umana non materiale, non la conosce e di conseguenza non se ne occupa. Di fronte a chi si ribella alla violenza non materiale del prete che pretende di importi la sua verità e reagisce col vaffanculo rabbioso, la mamma vede solo una maleducazione da estirpare, spesso ahimé riuscendoci. In questa falsa idea di bontà l'affermazione di sé, la capacità di erigere steccati a difesa dell'identità, viene spesso dimenticata. Per quanto mi riguarda, uno dei pochi paletti che sicuramente ho piantato riguarda il rapporto maestro/allievo. Base di questo paletto è che non esistono Guru, non esistono autorità se non quelle che ognuno riconosce momento per momento, tutti gli individui nascono e muoiono uguali. Ovviamente ci sono al mondo milioni se non miliardi di persone che ne sanno più di noi su qualche argomento, e l'apprendimento nasce appunto dal confronto con l'altro da sé, che è il motivo per cui stare al mondo. Ma questo non muove il paletto: se decido di fare immersioni, ad esempio, mi rivolgerò a chi ha più esperienza di me, perché mi spieghi come fare, limitatamente a quel momento e a quella specifica domanda. Ogni singola domanda apre un rapporto maestro allievo, ogni singola risposta lo esaurisce. Al termine delle domande, i rapporti tornano ad essere quelli di prima, e si andrà ad immergersi insieme, arricchendo ognuno la propria esperienza insieme a quella dell'altro. Spesso, nella realtà, non è così che funziona: essere investiti di una autorità è estremamente gratificante per il proprio ego, e i più continueranno a cercare questa gratificazione, tentando di mantenere in piedi quel particolare rapporto oltre il suo termine naturale. Se siamo due amici che fanno immersioni, il rapporto è quello, si va in mare, si fa esperienza, ci si confronta. Di fronte alla bravura dell'altro c'è ammirazione, di fronte ad una domanda c'è collaborazione. Se siamo in tre, il rapporto già cambia, non è più equilibrato. Se siamo cinque, c'è uno che fa il piano di immersione e gli altri collaborano. Se siamo in venti o più c'è un maestro, un vice, una elite e una base, ci sono lezioni e cene, e chi insegna ad immergersi mantiene la sua autorità anche quando siamo sulla terraferma e si parla della raccolta delle olive. E alla fine, in mare, nessuno va più. Roba da mentecatti, facile da riconoscere e facile da rifuggire. Ma esistono violenze più sottili. Una risposta a una domanda inespressa, un suggerimento non richiesto, sono di per sé una prevaricazione, un voler stabilire delle gerarchie. Peggio ancora l'approvazione, la condiscendenza di chi non si confronta con l'altro, né lo ammira, ma elargisce benevolenti sorrisi dall'alto della sua posizione. L'esortazione di chi di fronte ad un successo incita con un "vedrai più avanti" e mette così al centro se stesso, sottolinea il proprio vantaggio e sminuisce i passi compiuti dall'altro. L'incoraggiamento di chi ti dice che sei sulla buona strada, il paternalismo di chi esordisce pretendendo di spiegarti il mondo, esigono un vaffanculo che non può restare inespresso. Da maestro deriva ammaestrare, ma si ammaestrano le bestie da circo, con la frusta e lo zuccherino. Preferisco essere un ciuco e prendere a calci chi si azzarda a presentarmi le briglie.

2 commenti:

  1. Il vaffanculo non deve essere rabbioso, la rabbia è sempre distruttiva... Vuoi mettere un bel vaffanculo sorridente, liberatorio e spensierato? :D
    Il rapporto maestro allievo è un non rapporto, implica un ruolo sterile in cui uno pieno di sapere agisce riempiendo l'altro che è vuoto. Roba annullante. Ma se il rapporto c'è non è più così sterile... Comunque avenne di vaffanculi... A secchiate andrebbero sparsi ;)

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  2. Che bello il rifiuto sereno, il no col sorriso sulle labbra!! Mi è anche riuscito, di recente, ma ancora non ne ho scritto. Però penso che per avere quel tipo di rifiuto occorra aver realizzato una separazione, e dipanando questo filo mi viene da dire che il rifiuto rabbioso avviene quando la separazione non c'è ancora stata. E tutto torna. Mi sa che proverò a seguire questo pensiero, e vedrò dove porta.

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